Le persone dotate di intelligenza intuitiva ricorrono più spesso all’uso di smartphone, tablet e altri dispositivi simili come fonte da cui trarre informazioni rispetto ai soggetti con intelligenza analitica, che risultano essere meno pigri e più “originali” nel trovare le risposte ai propri interrogativi senza necessariamente dover ricorrere ai dispositivi elettronici. A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Computers in Human Behavior da un gruppo di psicologi dell’University of Waterloo (Canada) che sono giunti alle loro conclusioni esaminando i dati raccolti in tre diversi studi per un totale di 660 partecipanti coinvolti.
Mediante l’esame dei risultati di diversi test psicologici somministrati ai partecipanti ai tre studi i ricercatori hanno classificato diversi tipi di intelligenza – quella analitica e quella intuitiva, ma anche quella verbale e matematica – e hanno poi indagato sulla modalità di utilizzo di strumenti elettronici come smartphone e tablet per la ricerca di informazioni da parte dei soggetti coinvolti nello studio. Ed è emerso che i partecipanti che avevano dimostrato di avere una maggiore propensione al pensiero analitico utilizzavano con meno frequenza i device elettronici, mentre coloro che rientravano nel gruppo dei soggetti con intelligenza intuitiva mostravano di farvi ricorso con una frequenza maggiore.
Questi ultimi ricorrerebbero alla consultazione dello smartphone «spesso per cercare informazioni che in realtà conoscono o che potrebbero facilmente reperire, ma per le quali non sono disposti a fare lo sforzo di pensare», spiega Gordon Pennycook, autore dello studio insieme con Nathaniel Barr. Al contrario i pensatori analitici tendono a interrogare loro stessi, quando c’è da cercare un’informazione, tentando di risolvere i problemi in modo logico e senza scorciatoie.
Le differenze tra intelligenza intuitiva e analitica
Ma quali sono le differenze tra l’intelligenza intuitiva e quella analitica? La prima è caratterizzata dal comprendere il mondo che ci circonda in modo rapido e immediato, senza ricorrere ai molteplici passaggi che caratterizzano il ragionamento, mentre la seconda, al contrario della prima, si basa sulla scomposizione in più parti della realtà che si ha di fronte e sull’esame sistematico di ogni singola parte.
Gli studiosi hanno messo in evidenza che l’utilizzo dello smartphone come fonte da cui trarre informazioni è maggiore soprattutto nelle persone con intelligenza intuitiva, ovvero quelle che, appena possono, attuano una “scorciatoia” di pensiero pur di non dover affaticare troppo il cervello. Modi molto differenti di agire che, ripetuti più volte al giorno tutti i giorni sin dall’adolescenza, potrebbero – forse – comportare l’impigrirsi delle capacità cognitive in età adulta.
Ma dobbiamo davvero preoccuparci? Secondo gli specialisti di Humanitas, i ricercatori non traggono alcuna conclusione sugli effetti a lungo termine sul cervello dovuti all’uso crescente di smartphone e strumenti simili, ma cercano di sensibilizzare la comunità scientifica e la società a essere più consapevoli dell’importanza che potranno avere nella vita di ciascuno di noi, e delle comunità, nel prossimo futuro. Affermano che questi strumenti stanno diventando vere e proprie “estensioni della nostra mente” e che “le conseguenze a lungo termine della esternalizzazione delle nostre funzioni cognitive sono per ora sconosciute”. Io penso che come per ogni altra novità, nel giudicare, debba prevalere un approccio sia scientifico che di buon senso. Il nostro cervello, finora, ha saputo produrre risultati straordinari anche in campo tecnologico – come è accaduto, per esempio, proprio con gli smartphones. Non mi metterei quindi in una posizione di allarme, ma di fiduciosa attesa.