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Una nuova vita grazie a un mini cuore

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Nel petto di I.M., una simpatica signora emiliana, ‘batte’ un dispositivo di assistenza ventricolare di terza generazione: grande come una noce, leggero, ‘ecologico’. E’ stato impiantato con successo, per la prima volta in Italia, in Humanitas.

I.M. ha 65 anni, una passione per la cucina e per i tortellini e, da un mese, un ‘cuore’ nuovo, hi-tech. Nel suo petto, infatti, ‘batte’ un VAD (Ventricular assist device, un apparecchio che supporta il cuore malato) di terza generazione, così piccolo da stare in una mano. Pesa solamente 60 grammi, galleggia in un campo magnetico, consuma poca energia ed è estremamente affidabile. Si tratta del primo VAD di questo tipo impiantato in Italia: l’intervento, durato 8 ore, è stato effettuato con successo presso l’Istituto Clinico Humanitas da un’équipe internazionale diretta dal dott. Ettore Vitali, responsabile del Dipartimento Cardiovascolare, ed è stato possibile grazie alla presenza, presso l’ospedale milanese, di specifiche competenze non solo cardiochirurgiche (dott. Giuseppe Tarelli e dott. Ornaghi) ma anche anestesiologiche (équipe guidata dal dott. Angelo Bandera) ed assistenziali (vad coordinator).

Presto a casa e tortellini per tutti!
Oggi la paziente sta per lasciare l’ospedale e tornare a casa, in provincia di Modena. “La prima cosa che farò? Andrò dal parrucchiere, finalmente – sorride la signora -. Mi sento davvero ‘miracolata’. Un mese fa, quando sono arrivata qui – racconta – non riuscivo più ad alzarmi dal letto, non mangiavo e faticavo persino a parlare. Oggi posso di nuovo guardare al futuro con speranza. E per questo devo ringraziare, oltre a mia figlia che mi è stata sempre accanto, tutti coloro che in Humanitas mi hanno non solo curato ma anche ‘coccolato’. Mi hanno aiutato a superare un periodo difficile, lontano dalla mia casa e dai miei amici, non solo con la loro professionalità, ma anche e soprattutto con la loro umanità. A tutti loro ho promesso che farò assaggiare i miei tortellini: dovrò farne davvero un bel po’…”.
La signora, 3 figli e 1 nipote, una vita molto attiva e piena di interessi – la cucina, i viaggi, il mare – è sempre stata in ottima salute fino al 2006. All’improvviso, un ictus e la successiva diagnosi di scompenso cardiaco. L’aggravarsi dello scompenso cardiaco e della cardiomiopatia dilatativa rendono necessario un trapianto di cuore, che tuttavia alla donna viene precluso dai limiti d’età. Tramite il suo medico curante viene però in contatto con il dott. Vitali, che le propone l’impianto di un VAD. “All’inizio ero contraria – spiega la paziente – perché avevo paura dell’intervento e dell’idea di dover convivere con una macchina, per quanto piccola. Ma poi ho capito che per me era l’unica speranza e oggi, se tornassi indietro, non avrei dubbi e lo farei di nuovo”.

“Il VAD era l’unica soluzione alternativa al trapianto di cuore – spiega il dott. Vitali – in grado non solo di evitare una morte certa, ma anche di garantire alla paziente un’ottima qualità di vita. In seguito all’intervento cardiochirurgico le condizioni della paziente sono subito migliorate: ha ripreso le forze e nel giro di tre giorni era già in grado di mangiare da sola e di stare seduta”.

Il nuovo mini cuore
Il VAD impiantato è un modello di ultima generazione, la terza dei ‘cuori artificiali’. Si tratta di una pompa a levitazione magnetica in titanio e plastica biocompatibile che, impiantata all’apice del ventricolo sinistro (sottoposto al carico maggiore perché distribuisce il sangue a tutto l’organismo, mentre il destro rifornisce solo i polmoni), lo svuota reimmettendo il sangue nell’aorta. “La parte attiva del VAD, il rotore – prosegue il dott. Vitali – rimane sospeso in un campo magnetico per cui, non incontrando attrito, non è soggetto ad usura. Così la pompa può funzionare, teoricamente, all’infinito. L’assenza di attrito si traduce anche in un’assenza di punti di sovraccarico di calore – problema tipico dei precedenti device – che possono dare origine a pericolosi coaguli, causa di eventi embolici e stroke. Il minor rischio embolico rende molto più semplice e sicura la gestione della terapia anti-coagualante: meno farmaci e minor rischio emorragico.
Un’altra caratteristica innovativa di questo VAD è il suo sistema centrifugo: lavorando perpendicolarmente al flusso del sangue, riesce ad essere molto più efficiente dal punto di vista emodinamico, risparmiando energia: effettua 3.000 giri al minuto invece dei 10.000 dell’elica in assiale dei VAD di seconda generazione. Anche le batterie, quindi, sono più piccole e più durature”.

La pompa è la parte principale di un sistema che comprende un cavo di collegamento con l’esterno, le batterie, un caricatore, e un computer cui collegarsi per scaricare i dati e controllare la situazione. “L’impianto di un VAD si effettua quando non c’è più nessuna terapia alternativa disponibile, e il paziente ha pochi giorni di vita – spiega Vitali -. Questo perché il risultato di un intervento come questo richiede spirito di adattamento. Non tutti accettano facilmente la macchina, che comporta alcune limitazioni. Un esempio banale, non poter più fare bagni nel mare: una cosa che, ad esempio, I.M. amava moltissimo. Ecco perché, quando è possibile, è importante conoscere bene pazienti e famiglie, valutarne il carattere e le aspettative”. Il percorso di cura infatti non si esaurisce in sala operatoria: i pazienti devono evitare danni dovuti al cavo e alla comunicazione con l’esterno. Serve un’équipe preparata con cui mantenere un contatto costante. In Humanitas queste competenze sono presenti a 360°, a livello quindi non solo cardiochirugico e cardiologico, ma anche anestesiologico ed infermieristico.

Oggi i VAD non sono più, come un tempo, esclusivamente un ponte verso il trapianto. “Questo accadeva per i dispositivi di prima generazione, ingombranti e pesanti, che venivano inseriti nell’addome con un intervento molto invasivo, avevano un’autonomia di batterie di poche ore e una durata piuttosto limitata. Già con i VAD di seconda generazione la situazione è notevolmente cambiata. Oggi l’obiettivo del VAD è migliorare la qualità di vita dei pazienti, non più limitarsi a garantirne la sopravvivenza. Questo dovrebbe far sperare – conclude il dott. Vitali – in una maggiore diffusione della pratica di impianto dei dispositivi di supporto alla funzione cardiaca, anche considerando che la disponibilità di cuori da trapiantare è scarsa, perché i donatori di organi sono sempre più anziani e spesso il loro cuore non è in condizioni ottimali”.

A cura della Redazione