In Italia nel 2018 sono stati stimati in 13mila 300 i nuovi casi di tumore al pancreas, casi per cui la sopravvivenza è soltanto del 8,1% dopo cinque anni. Una percentuale bassa per le scarse opzioni terapeutiche finora a disposizione. A dare speranza arriva però da un congresso della Società americana di oncologia tenutosi a Chicago la notizia di una terapia innovativa e personalizzata che potrebbe migliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti da questa forma di tumore. Ne abbiamo parlato con il professor Alessandro Zerbi, chirurgo pancreatico di Humanitas.
Medicina personalizzata
Per la prima volta si dispone di un farmaco, l’olaparib, che sulla base di un’alterazione molecolare si dimostra efficace nel combattere il carcinoma pancreatico. Si apre, anche per questo cancro così complesso da trattare, la strada per cui i pazienti ricevono terapie in base alle rispettive mutazioni nel profilo molecolare del tumore; ossia la strada verso la medicina personalizzata. Lo studio in oggetto ha coinvolto 154 pazienti con tumore pancreatico metastatico che avevano già seguito chemioterapia con platino senza progressione di malattia. Il farmaco olaparib, nei pazienti con mutazione dei geni Brca1 e/o Brca2, ha ridotto del 47% il rischio di progressione della malattia. Dopo un anno il tumore si è arrestato nel 34% dei pazienti curati col farmaco contro il 15% di chi è stato trattato con placebo; dopo 1 anno e mezzo le percentuali sono del 30% contro il 10%; mentre dopo 2 anni il 22% dei pazienti trattati con olaparib risulta libero da progressione di malattia rispetto al 9,6% di quelli trattati con placebo. I dati dello studio presentato a Chicago dimostrano che il nuovo farmaco dimezza il rischio di progressione della malattia per i pazienti che hanno queste specifiche mutazioni genetiche, già riscontrate nei tumori dell’ovaio e della mammella, e che l’effetto della terapia si prolunga nel tempo, con una buona qualità di vita ed effetti collaterali ridotti.
Una percentuale ancora molto bassa
La nuova terapia, senz’altro interessante e valida in alcuni casi, è in realtà applicabile su un numero davvero esiguo di pazienti: meno del 10% del totale. Ecco perché il professor Zerbi raccomanda cautela nel valutare i nuovi dati messi a disposizione dallo studio: “In realtà solo il 7.5% dei pazienti affetti da carcinoma del pancreas presenta questa mutazione, quindi l’applicazione di questo nuovo trattamento riguarderà solo una minoranza di pazienti – ha sottolineato lo specialista -. E’ però importante il significato della associazione, che apre la porta a trattamenti differenti e personalizzati anche per il tumore del pancreas”.