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Frattura del piatto tibiale, come avviene il recupero?

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Chi pratica sci lo sa benissimo: la frattura del piatto tibiale è uno degli infortuni più invalidanti e ostici che possano capitare. «Lo è – aggiunge il dottor Lorenzo Di Mento, traumatologo di Humanitas – sebbene molto dipenda dalla gravità della lesione: più lo è più diventa problematico il suo trattamento. Come ogni frattura, i suoi tempi di guarigione biologica si aggirano intorno ai tre mesi. In questo periodo di tempo è richiesto l’utilizzo di due stampelle, dopo un congruo periodo di immobilizzazione in gesso nei casi selezionati di trattamento conservativo».

Cadute e fratture

La frattura del piatto tibiale è una conseguenza relativamente comune di traumi al ginocchio in chi pratica sport come lo sci alpino o l’equitazione ma anche in seguito a cadute dai mezzi a due ruote. La campionessa olimpica Lindsey Vonn, ad esempio, dovette chiudere in anticipo la scorsa stagione sciistica per via di questo infortunio. Il piatto tibiale è la superficie più prossimale della tibia, tra le ossa che formano l’articolazione del ginocchio. Il dolore e il gonfiore all’articolazione, ma soprattutto l’incapacità di caricare il peso sulla gamba interessata dal trauma, sono i campanelli d’allarme che segnalano più spesso questo infortunio.

 

 

Conseguenza del trauma, in diversi casi e proprio per la sede anatomica interessata, è il coinvolgimento delle strutture capsulo-legamentose: «È un problema importante anche per il recupero funzionale a distanza, soprattutto dal punto di vista sportivo, una volta guarita la frattura. L’energia del trauma – ricorda il dottor Di Mento – può ad esempio lesionare il legamento crociato anteriore, oltre ai legamenti collaterali quasi sempre coinvolti. Il trattamento di questo e di altri tipi di lesioni, laddove chirurgico, è comunque quasi sempre successivo alla guarigione della frattura».

Trattamento e recupero

La valutazione dell’entità della frattura è compito di esami strumentali come la radiografia e la TAC che forniranno informazioni importanti sulla scelta del trattamento: «Nella grande maggioranza dei casi il trattamento cui si ricorre è l’intervento chirurgico di osteosintesi, se i tessuti molli intorno alla frattura possono essere aggrediti chirurgicamente», aggiunge il dottor Di Mento.

La chirurgia, trattandosi di una frattura articolare, deve prevedere una riduzione anatomica della frattura e una sintesi con una stabilità assoluta: «Lo scopo ultimo del trattamento infatti deve essere la mobilizzazione immediata, per prevenire rigidità articolari, e un carico il più precoce possibile. Tale carico deve essere naturalmente graduato. Inizialmente per il primo mese potrà essere di circa 20 Kg, ovvero il peso dell’arto stesso, con successivo aumento in base al dolore percepito ed agli esami di follow up».

«Utili saranno gli esercizi di fisioterapia anche in acqua. Viene inoltre spesso utilizzato un sistema di mobilizzazione passiva continua del ginocchio (chiamato kinetec), che prevede la possibilità di graduare una certa escursione articolare e una velocità di movimento dell’apparecchiatura, di modo che il recupero sia costante e controllato. Il recupero completo, con l’eventuale ritorno all’attività sportiva, avviene in genere a sei mesi dal trauma».

L’obiettivo dell’intervento chirurgico è, infine, anche quello di garantire buone condizioni all’articolazione nel lungo periodo: «La frattura del piatto tibiale dev’essere ridotta con la massima cura, senza scalini articolari, al fine di limitare i rischi di comparsa di un’artrosi post traumatica precoce, con conseguente dolore e limitazione funzionale», conclude il dottor Di Mento.