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Disturbi di ansia e panico

Da cosa deriva l’ipocondria?

L’ipocondria, attualmente definito nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) come Disturbo da ansia di malattia, è il disturbo per il quale una persona interpreta erratamente ed eccessivamente alcune sensazioni provenienti dal proprio organismo sviluppando intensa preoccupazione di avere o contrarre una grave malattia, nonostante, nella maggior parte dei casi, abbia ricevuto, da uno o più specialisti, anche attraverso l’esecuzione di numerosi esami, rassicurazioni sul proprio stato di buona salute.

Da dove deriva, questa patologia? E come si affronta?

Ne abbiamo parlato con il dottor Francesco Cuniberti, specialista del Centro per i disturbi d’ansia e di panico di Humanitas San Pio X.

Ipocondria: cause e sintomi della paura di essere malati

I soggetti che sviluppano questo disturbo, frequentemente fin dalla giovane età e con uguale prevalenza negli uomini e nelle donne, presentano una predisposizione a interpretare in modo errato sensazioni del proprio corpo come di pericolo o di malessere. La preoccupazione non è rivolta tanto al sintomo, ma alla possibilità che questo indichi, automaticamente, una grave malattia.

L’esatta eziologia del disturbo rimane in gran parte sconosciuta. Tuttavia, diversi fattori di rischio sono stati implicati nel suo sviluppo.

Tra questi, uno dei più studiati è l’ambiente familiare. Se una persona è cresciuta in una famiglia in cui vi è una costante e sproporzionata preoccupazione per la salute e possibili malesseri/malattie, questo può portare ad atteggiamenti iperprotettivi e lo sviluppo nel tempo di una fragilità personale che influenza ogni aspetto della vita anche nell’età adulta.

Anche le persone con disturbi d’ansia sottostanti (per esempio il Disturbo d’ansia generalizzato o Disturbo di Panico) hanno un maggiore rischio di sviluppare preoccupazioni ipocondriache.

I sintomi

L’intensa preoccupazione di sviluppare una malattia o di averne una non ancora diagnosticata porta i pazienti a consultare e a cambiare spesso medico curante in quanto non soddisfatti dalle rassicurazioni che sono fornite dagli specialisti. I pazienti tenderanno a reiterare comportamenti non necessari, come la prenotazione di frequenti visite e analisi di controllo, risonanze e lastre, l’attitudine a parlare del proprio stato di salute in molte situazioni, anche a sproposito, la misurazione compulsiva della pressione sanguigna e le continue ricerche sul web per determinare autonomamente il proprio stato di salute. 

All’intensa preoccupazione che li porta ad aver paura di contrarre gravi malattie, si aggiungono molti sintomi secondari, che comportano atteggiamenti di ricerca di rassicurazione e attenzione da parte dei familiari.

Affrontare l’ipocondria

Il paziente giunge alla visita psichiatrica, nella maggior parte dei casi, spinto dai familiari. È fondamentale la ricerca di un buon rapporto di fiducia e un’alleanza terapeutica forte con il medico, in modo che i pazienti si sentano a proprio agio nel discutere le loro preoccupazioni di salute senza paura di essere giudicati.

Tra le possibili strategie terapeutiche un percorso di psicoterapia ed, eventualmente, in casi specifici, il ricorso a terapie psicofarmacologiche, risulta la strada migliore.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) è un percorso di terapia che si concentra sul trattamento delle convinzioni cognitive disadattive e disfunzionali del paziente mediante strategie di cambiamento del comportamento. Si devono affrontare le abitudini del paziente in merito all’eccessivo controllo del corpo alla ricerca di segni di malattia. È fondamentale includere anche l’educazione verso le normali sensazioni del corpo e sulle loro normali variazioni.

In specifici casi in cui è necessario ricorrere a terapie farmacologiche, gli antidepressivi come gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) e gli inibitori del reuptake della serotonina-noradrenalina (SNRI) sono quelli con maggiori evidenze di efficacia e di minori effetti collaterali.

Infine è importante indicare al paziente alcuni “trucchi” che possono risultare importanti: come favorire l’attività fisica giornaliera e ridurre l’assunzione di sostanze che possono aumentare l’ansia, come per esempio il caffè, le bevande energizzanti, il fumo e, ovviamente, le sostanze stupefacenti.