Il sangue che fa fatica a risalire dalla periferia al centro, ovvero dagli arti inferiori al cuore, è il tratto caratteristico dell’insufficienza venosa. È un disturbo cronico che può determinare l’insorgenza di alcuni disturbi più o meno gravi, dalle varici alla trombo-flebite, alle ulcere, fino al tromboembolismo, un evento, quest’ultimo, fortunatamente molto raro. «Per questi motivi le persone predisposte all’insufficienza venosa devono cercare di evitare che questa condizione progredisca», aggiunge la dottoressa Elisa Casabianca, chirurgo vascolare di Humanitas.
Una difficile risalita
La circolazione venosa è quella che riporta il sangue dal basso verso l’alto, ovvero dalle gambe e dai piedi al cuore. In presenza di insufficienza venosa, nelle vene superficiali delle gambe il sangue non riesce a compiere adeguatamente questo processo: «È un disturbo cronico associato alla lassità del tessuto venoso, a un difetto di chiusura delle valvole delle vene. Pertanto il sangue non va verso il cuore ma ristagna», spiega la dottoressa.
Cosa comporta questa alterazione nella circolazione sanguigna? «Aumenta la pressione del sangue venoso alle caviglie, si avverte una sensazione di gonfiore alle gambe, soprattutto la sera, e in particolar modo in estate o comunque quando le temperature sono più alte».
Oltre a ciò l’insufficienza venosa può causare l’insorgenza di uno dei disturbi vascolari più diffusi e noti in particolare nelle donne: «Le vene superficiali possono dilatarsi e trasformarsi in varici, note comunemente come vene varicose. Inoltre – continua la specialista – nel tempo l’insufficienza venosa può favorire la fuoriuscita di alcune parti di emoglobina nella faccia interna della caviglia. Qui possono sorgere delle macchie dalla colorazione bluastra, e progressivamente la cute della caviglia si inspessisce, diventa secca e distrofica. Non si tratta solo di un difetto estetico ma di una condizione da non sottovalutare perché in questi tessuti è carente l’ossigenazione delle cellule e ciò può portare alla formazione di ulcere dolorose da cui si guarisce con estrema difficoltà».
Se il disturbo progredisce si può arrivare all’insorgenza di trombo-flebiti e addirittura di trombo-embolia: «La formazione di coaguli nei gavoccioli varicosi dove il sangue tende a ristagnare rappresentano la cosiddetta flebite, una patologia che non mette in pericolo ma che pregiudica la qualità di vita e che richiede comunque un trattamento adeguato. L’embolia polmonare è infine un’eventualità remota ed è sempre correlata alla coagulazione del sangue: il trombo superficiale, se entra in circolo profondo, potrebbe portare a embolia».
Chi è più a rischio
Il fattore di rischio principale per l’insufficienza venosa è la familiarità. Anche l’aumento di peso e la sedentarietà sono condizioni che possono favorire l’insufficienza venosa nei soggetti predisposti: «La prevenzione riguarda soprattutto questi soggetti ed è finalizzata a scongiurare il rischio che l’insufficienza venosa possa peggiorare. Chi passa molte ore in piedi per ragioni professionali, soprattutto in ambienti caldi, come chi lavora nelle cucine ad esempio, deve mantenere attiva la muscolatura degli arti inferiori. I muscoli, infatti, spingono il sangue verso l’alto migliorando il ritorno venoso. È sempre molto utile indossare le calze elasto-compressive che assistono le vene a fare ciò che non riescono più a fare correttamente», ricorda la dottoressa Casabianca.
L’indicazione di non fumare o di smettere di farlo è sempre valida anche se il fumo di sigaretta non rappresenta un fattore di rischio specifico per l’insufficienza venosa, «mentre le è di più per l’arteriopatia periferica».
Le donne predisposte a insufficienza venosa devono prestare attenzione anche ad altri due elementi: l’esposizione agli ormoni sessuali con l’assunzione di contraccettivi e con la terapia ormonale sostitutiva, e la gravidanza. «La “pillola” e la terapia sostitutiva peggiorano l’insufficienza venosa e aumentano la gravità dei sintomi. Anche la gravidanza si associa a un aumento del rischio di insufficienza venosa per le variazioni ormonali cui la donna va incontro e per l’aumento di peso dovuto all’utero gravido», conclude la dottoressa Casabianca.