Lo scorso 7 ottobre, a Stoccolma, l’Istituto Karolinska ha insignito del premio Nobel per la Medicina 2019 William J. Kaelin, Gregg L. Semenza e Peter J. Ratcliffe. Il prestigioso premio è stato assegnato “per le loro scoperte su come le cellule percepiscono e si adattano alla disponibilità di ossigeno.”
Ma cosa significa esattamente? Ce lo spiega il professor Antonio Sica, Principal Investigator del Laboratorio di Immunologia molecolare di Humanitas.
Lo studio
L’ossigeno è un elemento indispensabile per la vita di quasi tutti gli esseri viventi: a livello cellulare ha il compito di trasformare le sostanze nutritive in energia. Kaelin, Semenza e Ratcliffe hanno scoperto che le cellule riescono a misurare la presenza di ossigeno all’esterno e a modificare il loro metabolismo di conseguenza.
La possibilità di controllare questo meccanismo porta alla comprensione di molti processi fisiologici, come l’adattamento del corpo all’ambiente, la gestione dell’attività fisica o lo sviluppo embrionale.
In particolare, in alcuni tipi di tumore le cellule malate utilizzano per riprodursi una vastissima quantità di ossigeno e modularne la regolazione può aiutare a circoscrivere la malattia.
Le parole della giuria
La giuria ha così commentato l’assegnazione del Premio: “Si tratta di uno dei meccanismi essenziali per la vita che viene messo alla prova durante l’attività fisica o nel caso di eventi traumatici come ferite, infarti o ictus. Inoltre, le cellule che crescono nei tumori consumano grandi quantità di ossigeno, […] gettando le basi per nuove e promettenti strategie per combattere l’anemia, il cancro e molte altre malattie”.
Gli autori
William Kaelin Jr. è professore all’Università di Harvard e al Dana-Faber Cancer Institute. Nato a New York nel 1957, ha frequentato la Duke University a Durham, nella Carolina del Nord, specializzandosi poi in Oncologia alla Johns Hopkins.
Come William Kaelin, anche Gregg Semenza è nato a New York. Si è laureato ad Harvard ed è docente di Pediatria, Radioterapia oncologica, Chimica biologica, Medicina e Oncologia presso la Johns Hopkins e nel 2016 ha ricevuto il premio Lasker per la ricerca medica clinica.
Sir Peter J. Ratcliffe, invece è inglese, laureato all’Università di Oxford e specializzato sul ruolo dell’eritropoietina nei meccanismi di rilevazione d’ossigeno. Dal 2016 dirige la ricerca clinica al Francis Crick Institute di Londra.
Il commento dello specialista
È solo con la comparsa di organismi precursori fotosintetici, simili ad alghe, che i livelli di ossigeno aumentarono nell’atmosfera, permettendo ai primi batteri fossili di cui abbiamo testimonianza di passare da un metabolismo anaerobico a uno aerobico, in grado quindi di utilizzare l’ossigeno per la produzione di energia.
Questa memoria evolutiva è rimasta patrimonio delle nostre cellule, che sono in grado di sfruttare l’ossigeno come fonte di energia più efficiente, mantenendo tuttavia la capacità di adattarsi a condizioni di carenza di ossigeno.
Tale transizione metabolica può instaurarsi in condizioni sia fisiologiche sia patologiche, spesso caratterizzate da grosse variazioni di ossigeno. Ad esempio, mentre negli alveoli polmonari l’aria che inspiriamo contiene il 20% di ossigeno, nel sangue è circa il 10%, per raggiungere livelli molto più bassi (meno dell’1%) in alcuni tessuti scarsamente vascolarizzati. Tale scenario sottolinea in particolare la grande capacità di adattamento delle cellule del sistema immunitario, che devono raggiungere siti di infiammazione come infezioni e tumori, spesso caratterizzati da bassi livelli di ossigeno. L’adattamento metabolico è inoltre essenziale nella gestione dell’attività fisica, nello sviluppo embrionale, nella formazione dei trasportatori di ossigeno ai tessuti (globuli rossi) e riveste rilevanza centrale in eventi traumatici come ferite, infarti o ictus. In particolare, i tumori rappresentano dei veri e propri laboratori metabolici e sfruttano i bassi livelli di ossigeno per promuovere la formazione di nuovi vasi utili al loro nutrimento e crescita.
Kaelin, Semenza e Ratcliffe hanno scoperto i sensori molecolari dell’ossigeno (“Hypoxia-inducible factor 1 alpha, HIF-1α” e una “famiglia di prolyl hydroxylases, PHDs”) e descritto i meccanismi che ne regolano l’attività. Tali scoperte hanno aperto vaste linee di ricerca che ne hanno confermato il significato fisiopatologico e rivelato il potenziale terapeutico.
Lo sviluppo recente di agonisti e antagonisti farmacologici in grado di modulare la bilancia “metabolismo aerobico – metabolismo anaerobico” è attualmente in fase di validazione in studi clinici che riguardano anemie, cardiopatia ischemica, ictus, malattie renali e tumori.