I disturbi emorroidari rappresentano un problema molto comune e diffuso in entrambi i sessi. Si stima che circa il 50% della popolazione adulta ne abbia sofferto una volta nella vita, con una percentuale lievemente più alta tra le donne a causa della gravidanza e del parto che costituiscono due situazioni predisponenti al suo sviluppo. Tuttavia solo in alcuni casi, per la risoluzione del problema, sarà necessario l’intervento del chirurgo, mentre nella maggior parte dei casi si interverrà con misure dietetico-comportamentali: «Il trattamento chirurgico, quando indicato, dovrà essere individualizzato sui disturbi del paziente», aggiunge il professor Antonino Spinelli, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia del Colon e del Retto di Humanitas e docente di Humanitas University.
Le emorroidi
Il disturbo è causato dalla dilatazione dei plessi venosi presenti nella mucosa del canale anale. Sono due i plessi emorroidari: quello interno, nel canale anale, e quello esterno, vicino al margine ano-cutaneo. La pressione esercitata su questi tessuti in situazioni di protratto sforzo nell’evacuazione costituisce il fatto principale che scatena la patologia, pertanto la stipsi ne è una delle cause maggiori.
La sedentarietà, il sovrappeso, un’alimentazione con uno scarso apporto di fibre sono tutti fattori che possono favorire la comparsa della malattia emorroidaria. I suoi sintomi sono diversi: bruciore, prurito, tumefazione anale fino a episodi di sanguinamento che talvolta portano all’anemizzazione. In base alla gravità del disturbo, nella malattia emorroidaria si possono distinguere diversi gradi: nei casi meno severi c’è solo congestione senza prolasso; in altri casi, invece, la congestione è maggiore e il prolasso può essere di maggiore entità, riducendosi spontaneamente o meno al termine dell’evacuazione.
La chirurgia
Nei casi più gravi la patologia è poco responsiva al solo trattamento medico e si rende necessario il ricorso all’intervento chirurgico: «Si può ricorrere alla dearterializzazione emorroidaria per ridurre l’afflusso di sangue attraverso la legatura dei rami arteriosi che afferiscono ai plessi emorroidari. In genere – spiega il professor Spinelli – si abbina a questo intervento anche la mucopessia, ovvero la riduzione del prolasso mucoso con punti che riportano il tessuto all’interno del canale anale».
L’intervento più radicale e con i risultati più duraturi è l’emorroidectomia, ovvero l’asportazione delle emorroidi: «I gavoccioli vengono asportati completamente, con un tasso di guarigione dei sintomi quasi completo. Si tratta di una procedura più invasiva nell’immediato post-operatorio, ma oggi ben gestibile con un’adeguata terapia antidolorifica», conclude il professore.