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Pigri o sportivi, anche il DNA ha un ruolo?

La motivazione ad andare in palestra o l’impulso a restare sul divano potrebbe avere anche un’origine genetica. I geni dei recettori della dopamina nel cervello potrebbero orientare questa propensione individuale a fare o non fare attività fisica. Lo suggerisce un ricercatore della University of Georgia (Stati Uniti) in uno studio presentato all’ultimo congresso della American Physiological Society.

Precedenti ricerche hanno dimostrato come l’esercizio fisico sia associato a un aumento della produzione di dopamina, un neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale che presiede alla trasmissione degli impulsi nervosi ed è coinvolto anche nel sistema di gratificazione e ricompensa nel cervello. Come spiega il ricercatore, le evidenze disponibili suggeriscono che i centri della ricompensa e il sistema motorio interagiscono per spingere gli individui a intraprendere o evitare volontariamente l’esercizio fisico. Sarebbero proprio i neuroni che regolano la dopamina a dettare la giusta motivazione al fitness.

(Per approfondire leggi qui: Un’ora di attività fisica al giorno spazza via 8 ore di sedentarietà)

La ricerca ha anche considerato il modo in cui la personalità e i tratti del comportamento (come la determinazione degli obiettivi e le influenze sociali) possano avere un peso sulla propensione individuale all’esercizio fisico. I risultati dello studio condotto su individui – dice il ricercatore – suggeriscono che le variazioni nei geni che codificano la dopamina e altri neurotrasmettitori correlati all’attività fisica contano per il raggiungimento di alti o bassi livelli di attività fisica. Questi geni agiscono anche indirettamente, tramite la loro associazione con a la motivazione ad essere attivi e anche con alcuni tratti della personalità.

L’intervento della dopamina

«Come tante altre ricerche, anche questa ha associato un polimorfismo genetico, la variazione di un carattere della popolazione, a un tratto comportamentale dell’individuo. Studi di questo genere individuano la maggiore frequenza del polimorfismo e la associano a delle caratteristiche di popolazioni, in questo caso soggetti più sedentari e soggetti più attivi», spiega il dottor Paolo Vezzoni, ricercatore del CNR e direttore del Laboratorio di Biotecnologie Mediche dell’ospedale Humanitas.

«I ricercatori hanno bisogno di un meccanismo funzionale che renda plausibile questo polimorfismo: in questo caso la differenza starebbe nel meccanismo di azione della dopamina. Il polimorfismo in questione agisce sui recettori della dopamina che possono stimolare più o meno il rilascio del neurotrasmettitore e dunque avere un effetto diverso nelle varie persone».

(Per approfondire leggi qui: Cervello, la sedentarietà lo fa “restringere”?)

«Aver individuato questo nesso funzionale rende più credibile la correlazione tra dato genomico e tratto della personalità. I polimorfismi sono così tanti che possono “cadere” in punti del genoma in cui o non ci sono geni o ce ne sono troppi. L’associazione statistica non dice immediatamente cosa rappresenta quel polimorfismo (anche perché dal polimorfismo è difficile risalire al gene). Tuttavia, se il polimorfismo “cade” in una porzione codificante, in una sequenza che influenza l’espressione dei geni, è più plausibile che sia esso il responsabile di quel tratto di personalità».