La presenza dell’Italia in Antartide ha da poco festeggiato i 30 anni. Era il 1985 quando è stato costituito il PNRA, il Programma nazionale di ricerca in Antartide, e da allora piccole truppe di ricercatori hanno raggiunto il continente ghiacciato per ottenere preziose informazioni sullo stato di salute della Terra, i processi climatici, la biologia, la geologia e i rischi ambientali. Il PNRA, che cura le attività antartiche, è coordinato dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e dall’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).
L’Antartide è estesa per poco più di 13 milioni di km2, più di tre volte il territorio dell’Unione Europea. Il punto più vicino con un altro continente, il Sud America, dista 950 km, mentre l’Africa è lontana 3500 km. Il 98% del territorio è ricoperto dalla calotta glaciale e, com’è facile immaginare, le temperature sono decisamente rigide: nell’altopiano centrale la temperatura media annua scende sotto i -50°C. Sulle coste il termometro sale e può raggiungere anche i 15°C; il clima è secco e piove poco. Sono queste le condizioni in cui operano i ricercatori che partono dall’Italia per condurre le loro attività scientifiche. Al momento è in corso la 32.a Spedizione Italiana in Antartide del PNRA.
Ma come si sono preparati i ricercatori per la missione in Antartide?
Risponde Maurizio Foco, medico chirurgo del Policlinico Gemelli di Roma, con Matteo Fusetto uno dei due medici della base di Baia Terra Nova ‘Mario Zucchelli’, una delle due stazioni italiane con la italo-francese Concordia.
(Per approfondire leggi qui: Cambiamenti climatici, dall’ambiente all’uomo: a rischio anche la salute)
«La preparazione in Antartide si svolge con un corso di addestramento di 2 settimane. La prima al Centro di ricerche Enea Brasimone dove viene spiegato l’ambiente in cui ci si verrà a trovare, le abitudini della base, e si tengono anche delle lezioni pratiche tra le quali quella sull’uso delle radio e su come effettuare un campo tendato. La seconda settimana si svolge sul ghiacciaio del Monte Bianco a 3.000 m di quota, dove ci si allena a dormire in una tenda non riscaldata, si pranza e si cena all’aperto indipendentemente dal tempo, si impara a costruire un igloo per ripararsi dal freddo e dal vento o a scavarsi un riparo nel ghiaccio, nella malaugurata ipotesi di non poter tornare alla base mentre per esempio si effettua un campo remoto. Queste attività sono gestite dal Corpo degli alpini».
«Ma anche chi viene in base per pochi giorni segue, alla partenza dell’ultima tratta del volo che porta in Antartide, un veloce modulo di informazione in cui si spiega come montare una tenda o accendere un fuoco all’aperto. Infine, i nostri ospiti qui a ‘Mario Zucchelli’ o a Concordia vengono comunque informati delle regole principali di sicurezza e comportamento, per esempio bisogna sempre tenere con sé la radio e, se ci si allontana, informare la centrale operativa e tenersi in contatto costante».
In che modo il clima può condizionare le attività dei ricercatori?
«I ricercatori che svolgono le proprie attività a distanza dalla base, anche per settimane, vivono in tende o alloggi provvisori, con temperature e venti spesso proibitivi: il desiderio di raggiungere l’obbiettivo, unitamente alla preparazione iniziale svolta in Italia, permettono loro di portare a termine il lavoro programmato anche se con grande fisica e mentale. In queste settimane, per esempio, è in corso la traversa che consentirà di eseguire il carotaggio glaciale più importante, con cui arriveremo a ricostruire il paleo clima fino a 1,5 mln di anni fa, dopo il carotaggio del progetto Epica che ha ricostruito i cicli glaciali-interglaciali fino a 840 mila anni fa: ricercatori e logistici avanzano sul ghiaccio a una velocità media di 8-10 kmh e dormono in container seppure riscaldati».
Quali sono i rischi principali per la salute a cui prestare attenzione mentre operano a quelle latitudini?
«I rischi a cui si è esposti in Antartide – spiega il dottor Foco a Humanitas Salute – sono fondamentalmente costituiti dai traumi: anche solo l’apertura della portiera di un mezzo, con le violente folate di vento che possono soffiare a queste latitudini, è un atto da eseguire con massima attenzione. Per non parlare, ovviamente, della cautela necessaria quando si cammina sul ghiaccio, anche se con equipaggiamento tecnico. Poi, paradossalmente, c’è il rischio delle ustioni, sia quelle della pelle causate dall’esposizione al sole, sia quello causato e peggiorato dal fatto che il grado di umidità molto bassa facilita l’eventuale propagazione delle fiamme. Per quanto può sembrare strano, invece, le malattie da freddo quali ad esempio raffreddore e infezioni delle vie aeree sono rare e ciò è dovuto alla scarsa capacità di batteri e virus di propagarsi in questo ambiente».
(Per approfondire leggi qui: Ustioni: fiamme, vapore, detergenti. Cosa fare per un pronto soccorso?)
Sul posto gli scienziati seguono un tipo particolare di alimentazione?
«Uno dei punti chiave della vita in base è quello di assicurare a tutti i suoi componenti un’alimentazione varia ed abbondante, non solo per soddisfare i reali bisogni energetici, aumentati dal lavoro all’aperto a basse temperature, ma anche per alleviare le giornate di ricercatori e logistici prive di grandi forme di svago. Il servizio di ristorazione delle basi antartiche è ottimo e in questo aiuta», conclude il dottor Foco.
* Immagine tratta dal profilo Facebook di ItaliAntartide – 32.a Spedizione