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Epidemie e bombe su ospedali: la Jugoslavia nell’Ultimo rigore di Faruk

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Se quella palla fosse entrata, si sarebbe evitata la guerra? Se il calcio di rigore di Faruk Hadžibegic, capitano della Jugoslavia ai mondiali di Italia ’90, nei quarti di finale avesse spiazzato il portiere dell’Argentina e portato la sua squadra in semifinale, il vento sarebbe cambiato?

Gigi Riva, giornalista caporedattore centrale dell’Espresso, è l’autore di “L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e guerra” (edizioni Sellerio). Nel libro il rigore sbagliato da Hadžibegic diventa il simbolo di una sconfitta di tutto un Paese, la Jugoslavia. Da quella estate di Notti magiche si sarebbe passati a notti più buie, in cui un glorioso Paese si sarebbe dissolto sotto i colpi di una guerra fratricida. Secondo la leggenda popolare le guerre balcaniche non sarebbero scoppiate se quella squadra composta da serbi, croati, bosniaci, macedoni e montenegrini avesse portato a casa la Coppa del Mondo nel 1990.

Una storia di sport, politica e guerra ancora attuale

libro gigi rivaIl libro di Gigi Riva narra una vicenda emblematica del rapporto tra sport, politica e guerra purtroppo attuale anche oggi. Basti pensare a come il sedicente Stato islamico dell’autoproclamato califfo Abu Bakh al-Baghdadi utliizzi la popolarità del calcio per trasmettere il suo messaggio di morte. Gli attentati che sconvolsero Parigi il 13 novembre del 2015 ebbero la loro origine proprio allo Stade de France. Ed è recente la notizia di alcuni tifosi del Real Madrid ammazzati all’interno di un club mentre guardavano una partita in un paese vicino a Baghdad. Il calcio è vietato nelle aree occupate dallo Stato islamico perché simbolo dell’occidente “corrotto”.

(Per approfondire leggi qui: Strage di Parigi, francesi in coda per donare il sangue)

Calcio e storia si legano a doppio filo nelle pagine di un libro che ripercorre le gesta di quei giocatori e le posizioni controverse dei leader politici. I conflitti nei Balcani hanno sconvolto l’Europa tra il 1991 e il 1995. In quegli anni Gigi Riva era inviato speciale del quotidiano Il Giorno proprio in Jugoslavia. Da lì ha seguito tutte le guerre balcaniche degli anni 90. Il bilancio finale è stato di 250mila morti e più di 2 milioni di profughi. 

Si ricorda com’era la situazione sanitaria in quei Paesi durante la guerra civile?

«Naturalmente la prima emergenza riguardava le persone ferite durante i bombardamenti o al fronte», risponde Riva. «L’ospedale Kosevo di Sarajevo, ad esempio, ha continuato ad operare per tutta la guerra seppur in condizioni disperate e benché si trovasse sotto il tiro dei cecchini serbo-bosniaci che assediavano la città. Grazie ad alcuni generatori autonomi le sale operatorie hanno continuato a funzionare benché in alcuni periodi mancasse persino il filo per le suture». 

«Sempre per rimanere nell’ambito degli ospedali, uno degli episodi più atroci del conflitto serbo-croato riguarda l’ospedale di Vukovar. Le truppe dell’estremista panserbo Arkan entrarono nell’ospedale e trucidarono pazienti e anche i medici che avevano preferito restare assieme agli ammalati nonostante sapessero che la capitolazione era vicina».

(Per approfondire leggi qui: In Siria, a pochi chilometri dalla guerra civile)

«Dal punto di vista epidemiologico, invece, le situazioni più gravi si sono riscontrate nelle città assediate dove scarseggiava l’acqua e in diversi periodi anche il cibo. Si calcola che i cittadini di Sarajevo, ad esempio, abbiamo perso in media tra i 15 e i 20 chili a testa. Frequenti le normali epidemie in situazioni di questo tipo nei campi profughi sorti un po’ ovunque», conclude l’autore.