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Yogurt, birra e anticoncezionali: cosa influisce sul microbioma intestinale

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I batteri che vivono nell’intestino hanno meno segreti. Su Science sono stati pubblicati due studi “gemelli” sulla composizione e varietà del microbioma intestinale. I ricercatori hanno analizzato anche il DNA dei microrganismi e individuato i fattori ambientali che hanno un impatto sul microbioma: dai contraccettivi al caffè, dalla birra agli antibiotici. Ma si tratta solo della punta dell’iceberg, dice uno dei ricercatori coinvolti: molto è ancora da scoprire.

Il primo studio arriva dal Belgio. Si tratta dei risultati del Flemish Gut Flora Project, un progetto di ricerca partito nel 2012 con l’obiettivo di mappare la composizione del microbioma intestinale. Sono stati analizzati campioni di oltre 1000 volontari in salute. Si è scoperto, ad esempio, che una “batteria” di 14 generi di batteri forma un nucleo universale presente nel microbioma di tutti gli individui e che la composizione del microbioma è influenzata da ben 69 fattori esterni.

(Per approfondire leggi qui: Più fibre per recuperare il microbioma perduto?)

Grande è l’influenza della dieta. È stata rilevata un’associazione con le fibre, il cioccolato (si è visto che un particolare gruppo di batteri “preferisce” il cioccolato fondente), ma anche con la birra. Inoltre l’assunzione di farmaci come antibiotici e lassativi, ma anche di anticoncezionali e farmaci per la terapia ormonale sostitutiva, si riverberano sul microbioma. Con sorpresa non è stata rilevata alcuna correlazione fra il tipo di parto o l’allattamento al seno. Tuttavia la correlazione più forte è stata trovata con il tempo di transito intestinale.

Vino e caffè “stimolano” la diversità del microbioma

Alcuni tipi di batteri sono più frequenti (es. Prevotella) in soggetti con consistenza delle feci che tende a essere semiformata/liquida (i.e. diarrea) ovvero quando il tempo di transito intestinale è accelerato.

Il secondo studio è olandese, condotto dalla University of Groningen. In questo caso i ricercatori, analizzando i campioni di oltre 1100 individui, hanno sequenziato il DNA dei batteri intestinali. I risultati sono sovrapponibili al primo studio. È emersa una maggiore diversità del microbioma in chi consuma regolarmente yogurt o latticello, un prodotto della lavorazione della panna per ottenere il burro molto usato nella cucina nord europea.

Anche il vino e il caffè possono “stimolare” la diversità della flora batterica mentre il latte intero e una dieta molto calorica possono deprimerla. Sono 60 i fattori “dietetici” e 19 i farmaci che hanno effetto sul microbioma. Ad esempio gli antiacidi, come ha rivelato un precedente studio dello stesso gruppo di ricerca, non sono l’ideale per i batteri intestinali. E per la salute una maggiore varietà delle specie che compongono il microbioma è meglio, suggerisce il team. Ma il lavoro non finisce qui: il microbioma resta ancora avvolto dal mistero. Come ha detto il primo autore dello studio, con questi risultati è noto solo il 7% della varietà del microbioma intestinale.

(Per approfondire leggi qui: Mangiare verdure fa bene. Anche ai batteri amici dell’intestino)

Per la salute maggiore è la diversità del microbioma e meglio è?

Non è noto se la diversità di batteri equivale a una salute “migliore”. L’importante è che siano i batteri “buoni”, anche se, come confermano gli studi, il mondo del microbioma è per lo più sconosciuto. Per cui, vengono formulate tante ipotesi e speculazioni su correlazioni fra gli stili di vita dell’ospite (l’uomo) e il tipo di specie batteriche, ma spesso le conclusioni sono contrastanti. Certo è che il ruolo del microbioma è cruciale per la gestione di un problema sempre più emergente che è la resistenza batterica agli antibiotici.

Quando si assumono questi farmaci vi è un’alterazione della flora batterica che può avere conseguenze sia sulle funzioni intestinali, ma soprattutto sulle difese immunitarie dell’individuo. L’obiettivo è quello di selezionare i “ceppi batterici buoni” e utilizzarli come prevenzione di ulteriori infezioni batteriche in soggetti già trattati con antibiotici. Il trapianto di feci e, quindi di batteri, in pazienti con infezione da Clostridium difficile (i.e. infezione spesso contratta in ospedale a seguito di terapie antibiotiche) ne è un esempio.