Nelle persone che soffrono di diabete un girovita abbondante può essere indice di un maggior rischio cardiovascolare, più di quanto potrebbe far supporre un elevato Indice di massa corporea. Insomma è meglio avere un fisico a forma di pera, con il grasso sui fianchi, che a forma di mela, con la presenza di grasso addominale, dicono i ricercatori dell’Intermountain Medical Center Heart Institute e del John Hopkins Hospital (Stati Uniti), autori dello studio. Ma la situazione può migliorare cercando di ridurre il girovita con dieta equilibrata e regolare attività fisica. Un consiglio da prendere al volo, in occasione della Giornata mondiale della Salute il 7 aprile 2016, organizzata dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dedicata proprio al diabete.
La cosiddetta obesità centrale sarebbe dunque un elemento predittivo di malattia cardiaca nelle persone diabetiche, di tipo 1 o 2, come l’insufficienza cardiaca. È quanto è emerso dall’analisi condotta dai ricercatori di 200 persone con diabete di ambo i sessi. Indipendentemente dal peso corporeo e dall’Indice di massa corporea (Imc), l’obesità addominale è stata associata alla disfunzione ventricolare sinistra che è causa di malattia cardiaca.
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Lo studio segue un’altra ricerca dello stesso team secondo la quale a un maggior Imc era associato un maggior rischio cardiovascolare. Questa ricerca era stata condotta su pazienti diabetici ad alto rischio di sviluppare ictus o infarto ma che non avevano ancora mostrato i segni di malattia cardiaca.
In conclusione, sebbene qualsiasi forma di obesità possa causare una forma di stress al cuore, dicono gli scienziati, l’obesità centrale, più del peso o dell’Imc, è un indicatore di disfunzione ventricolare sinistra. Gli autori concordano però sulla necessità di ulteriori conferme scientifiche per verificare questi risultati. Lo studio è stato presentato all’ultimo congresso dell’American College of Cardiology
Perché il grasso addominale è indice di un aumentato rischio cardiovascolare?
La presenza di grasso “viscerale”, quindi localizzato maggiormente a livello addominale, rappresenta un fattore noto per sviluppare insulino-resistenza. Distinto da quello intramuscolare e da quello sottocutaneo ha una influenza maggiore sul rischio cardiovascolare e sullo sviluppo di patologie metaboliche come ad esempio il diabete di tipo 2, ma anche ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, condizioni cliniche spesso definite con l’unico termine di sindrome metabolica.
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Un’eccessiva presenza di grasso viscerale è direttamente proporzionale alla circonferenza addominale, quindi tale parametro può essere utilizzato per quantificare il rischio cardiovascolare dei soggetti obesi. Il livello soglia oltre il quale incomincia tale rischio è di 102 cm per gli uomini e 88 cm per le donne. I motivi biochimici per cui tale incremento è in relazione al rischio della salute dell’individuo sono giustificati nell’incremento di flusso di acidi grassi verso il fegato, nella più facile lipolisi a livello epatico (con incremento di NEFA circolanti), nella incrementata gluconeogenesi associata a ridotta eliminazione dell’insulina circolante con conseguente iperinsulinemia, oltre che nell’aumentata produzione di fattori infiammatori come IL-6.
Si può dunque intervenire sulla misura del girovita per ridurre il rischio cardiovascolare nelle persone con diabete?
Anzi si deve, molto meglio intervenire ancora prima della evidenza della patologia diabetica. Proprio in questi casi si parla di reale prevenzione, attività fisica aerobica costante e alimentazione adeguata (con diete equilibrate come la Dieta mediterranea) possono permettere di migliorare il quadro. Solo in un secondo tempo si può pensare di ricorrere a trattamenti farmacologici, che sono a disposizione anche in Humanitas, per aiutare a gestire la patologia obesità.