Magazine

Mirko Neri, infermiere di frontiera

Argomenti

Sono arrivato nella Repubblica Centroafricana per l’apertura di una nuova missione, con Medici Senza Frontiere. La zona operativa si trova nel Nord-Est del Paese, proprio a ridosso tra Ciad e Darfur/Sudan, e da questi è fortemente interessata. Nell’autunno scorso a seguito di scontri tra truppe governative e ribelli la popolazione civile è stata costretta ad abbandonare i propri villaggi e a rifugiarsi nella foresta, dove necessita praticamente di tutto.
Dopo un’esplorazione fatta dalla sezione olandese, si è deciso di procedere per un intervento di emergenza.
Arrivati a Bangui, la capitale, a bordo di un aereo monoelica ci dirigiamo verso Birao, circa mille chilometri a Est.
Qui il team si divide in due gruppi. Come prassi di Medici Senza Frontiere, si lavora in entrambi i settori, quello governativo e l’area sotto controllo dei ribelli, per poter così raggiungere tutta la popolazione colpita dalla guerra e per garantire la nostra neutralità.
Assieme alla coordinatrice, mi dirigo verso la zona ovest, sotto controllo dei ribelli. Partiamo per una distribuzione di materiale non medicale alla popolazione e contemporaneamente in ogni villaggio facciamo uno screening e le consultazioni per i casi più gravi.
A bordo della solita automobile di MSF e con un camion al seguito iniziamo il nostro viaggio. Le strade sono ovviamente tutte sterrate e la velocità non supera mai i 20 chilometri orari. Si trascorrono intere giornate in viaggio per percorrere nemmeno 150 chilometri.
In ogni villaggio, appena arrivati incontriamo le autorità locali, civili, militari e religiose. È la fase del primo approccio, molto importante. Attorno ad un tavolo, bevendo del tè locale, si discute, ci si fa conoscere e si presenta il nostro intervento.

La distribuzione di materiale non medico, ossia coperte, zanzariere, teli in plastica e sapone non è mai facile, perché non ce n’è mai proprio per tutti, perché c’è sempre chi ne vorrebbe di più degli altri. Ma alla fine, con molta pazienza, siamo riusciti a distribuire tutto il nostro materiale in sette villaggi su un area di circa 400 chilometri.
Contemporaneamente abbiamo fatto delle cliniche mobili. I villaggi sono abbandonati, perché la popolazione è fuggita nei campi, da 2 a 10 chilometri all’interno, per paura di futuri attacchi. La gente arrivava nel corso della mattinata, e più persone arrivavano, più erano convinti di uscire dalla foresta e venire a farsi visitare. All’inizio avevano paura perché non capivano esattamente chi fossimo e non si fidavano. Questo basta a far capire che cosa vogliono dire la guerra e la paura.
Adesso mi trovo a Gordil, un villaggio abbandonato esattamente nel centro della mia area operativa. Abbiamo istallato la nostra base, organizzato le cose necessarie per la vita di ogni giorno e abbiamo aperto un piccolo ospedale per le cure mediche e un po’ di chirurgia, ma solo per i casi urgenti. Si collabora con il personale locale che per la maggior parte non è composto da veri infermieri, ma da persone molto volonterose con tantissima voglia di imparare. È veramente bello vedere come le cose dal nulla prendono forma e i piccoli miglioramenti che ci sono giorno dopo giorno.
Tra meeting giornalieri, attività mediche e logistiche la missione continua.
Questo è tutto per il momento.
Un saluto a tutti e a presto.

Mirko Neri