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Mirko Neri dal fronte mediorientale

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Sono arrivato in Israele il 12 di maggio per uno stage di un mese presso il Trauma Center del Rambam Medical Center di Haifa. L’ospedale ha sviluppato negli anni una particolare esperienza nella cura dei feriti di guerra e di attentati, specialmente per le “mass casualty situation”, ossia dove vi sono un numero elevato di feriti gravi dopo un attentato. L’accoglienza è stata molto bella e la disponibilità di tutti è davvero incredibile.
Ho iniziato a fare turni presso il pronto soccorso, una realtà molto simile alla nostra, con tutti i problemi che affliggono i pronto soccorso di tutti i Paesi. Ogni giorno fanno oltre 300 visite, più tutte le urgenze vere: sono il centro di riferimento per tutto il nord di Israele e sono l’ ospedale che cura i militari dell’ esercito.
La prima sera arriva è arrivata l’emergenza di due bimbi gravemente ustionati che provenivano dall’ ospedale di Nazareth, a circa 40 chilometri a Est di Haifa. I trauma team sono molto esperti ed affiatati, e anni di guerra e attentati hanno fatto sì che lavorino mantenendo la calma anche in situazioni difficili. All’ arrivo dei bimbi nella shock trauma unit (che corrisponde alla nostra sala rossa) i due team iniziano il lavoro. Si iniziano le procedure del caso. Nel frattempo, oltre che al chirurgo di guardia, all’ ortopedico di guardia e agli infermieri, sono arrivati un altro chirurgo, il pediatra, il chirurgo pediatrico, l’ anestesista, l’ intensivista pediatrico, il chirurgo plastico, il radiologo.
Terminata la fase di prima valutazione e trattamento si decide di eseguire l’ escarotomia delle ustioni in pronto soccorso. Terminata questa i bimbi vengono medicati e inviati presso la terapia intensiva pediatrica, dove nel frattempo era arrivato il primario. Mi è capitato di rivedere i due bimbi qualche giorno fa, durante un turno in terapia intensiva pediatrica. Stanno meglio, ma la loro convalescenza sarà ancora lunga.
Ho passato la maggior parte del mio tempo con le trauma coordinator, ossia delle infermiere che coordinano la gestione del trauma all’interno dell’ospedale, con i chirurghi, gli intensivisti, gli anestesisti, e i responsabili medici del trauma center. Dalla fase acuta in pronto soccorso, al ricovero del ferito in terapia intensiva, alla sua riabilitazione. Di ogni ferito viene valutato tutto il decorso, per vedere se ci sono stati errori e mancanze, non tanto per recriminare ma per vedere cosa si può migliorare per il futuro, ossia la lesson learned Fanno parte del loro lavoro anche la formazione del personale, la stesura di protocolli e una reperibilità 24 al giorno.

Mi hanno illustrato il loro piano per la cura dei feriti quando il loro numero eccede quello della routine giornaliera, ossia le mass casualty situation. Il 1 maggio era pianificata un’esercitazione da parte del governo (Ministero della Sanità ed Esercito) per rispondere ad un attentato terroristico di tipo non convenzionale, ossia le cosidette dirty bombs:sono attentati dove oltre al normale esplosivo viene usato anche materiale non convenzionale, che possono essere sostanze chimiche o radioattive. Poi è stata fatta la simulazione di un attentato dove decine di feriti arrivano all’ospedale per il trattamento. Dietro a tutto ciò ci sono ore e ore di addestramento, riunioni, linee guida, protocolli, tutto seguito con una attenzione fino al dettaglio più piccolo.
Il personale si raduna alle ore 8 per il briefing iniziale. Alle ore 10.30 arriva la telefonata da parte della centrale operativa (tipo il nostro 118) di un esplosione in città, e dopo poco arriva l’informazione che si tratta anche di materiale radioattivo. Inizia subito la preparazione per un afflusso massiccio di feriti, il pronto soccorso viene immediatamente liberato, tutte le persone vengono allertate, scatta il piano per gli attentati, con la variante radioattiva. Ad ognuno viene data una pettorina colorata con scritto chi è (medico, infermiere, ecc.), ci si mette la protezione per evitare di inalare materiale radioattivo, un camice lungo, doppi guanti. E si aspetta l’arrivo del primo ferito. I feriti simulati sono reclute dell’ esercito, quando arrivano con le ambulanze vengono prima decontaminati con numerose docce presenti in loco, messi su barelle e inviati per la cura definitiva. Tutto sembra reale, non è un gioco, per molti è un triste ricordo della guerra dell’estate scorsa, dove centinaia di feriti arrivarono in ospedale colpiti dai razzi o militari feriti trasportati in elicottero a decine. Gli occhi attenti dei supervisori dell’esercito e del Ministero della Salute non fanno sconti. Quando c’è qualcosa che non va viene fatto immediatamente notare. Il tutto va avanti per due ore, con un continuo arrivo di feriti, che vengono trattati e inviati presso i blocchi operatori o i reparti di cura.
Alla fine dell’esercitazione si nota una certa soddisfazione, tutto è andato bene, e tutti sperano che si tratti sempre e solo di simulazioni.

Mirko Neri

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