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Domenico Barrilà: quando i guai iniziano in famiglia

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Come crescere un bambino aiutandolo a maturare senza influenzarlo con le proprie aspettative? Quali comportamenti demotivano i collaboratori sul luogo di lavoro? Come vivere i propri affetti evitando condizionamenti e prevaricazioni? Questi i temi affrontati da Domenico Barrilà nell’ultimo libro in uscita questo mese dal titolo Punti di vista con delitto. Quando le relazioni diventano sopraffazione (Editrice San Paolo). Psicoterapeuta e analista adleriano, Barrilà spiega come il peso delle interferenze arbitrarie che le persone esercitano o subiscono nelle relazioni con i propri simili siano alla radice di molti problemi a livello individuale e interpersonale.

Dott. Barrilà per quale motivo ha scelto di sollevare il velo su un argomento così controverso e spinoso? Trova che le relazioni caratterizzate da sopraffazione siano un segno dei tempi?
Per alcuni versi in passato era anche peggio, le angherie erano pane quotidiano. Si pensi a come si viveva nelle cascine sotto l’ombrello del patriarca. Oggi però è aumentata a dismisura la popolazione mondiale ma soprattutto sono aumentate le interazioni tra le persone, quindi i rischi sono cresciuti in modo proporzionale, almeno dal punto di vista quantitativo.

Nel suo saggio analizza il rapporto genitori-figli denunciando l’abuso di potere camuffato dalle buone intenzioni, dagli ordini impartiti per il bene dei minori. Qual’è dunque il giusto equilibrio tra il ruolo di educatore e il rispetto della personalità dell’individuo?
Occorrerebbe sempre chiedersi nell’interesse di chi stiamo facendo un determinato intervento, se per i nostri figli o per la nostra tranquillità. Conosco tanti bambini che suonano uno strumento musicale perché piace ai loro genitori così come conosco tanti ragazzini che vivono una libertà condizionata perché i genitori sono ansiosi e hanno eccessive paure per l’incolumità della prole. Almeno in apparenza, poiché in realtà hanno paura di stare male loro stessi.

Quanto è difficile oggi essere genitori di un bambino piuttosto che di un adolescente?
Essere genitore è un piacere, almeno così dovrebbe essere. Quando comincia a diventare troppo difficile significa che è tempo di interrogarsi, considerando però l’interesse di tutti i soggetti coinvolti, poiché quando le cose si complicano per i genitori non significa che i figli si stanno divertendo. Il disagio è una comunicazione che denuncia sofferenza e non semplicemente voglia di fare pasticci.

Nel suo libro lei afferma che le ripetute bugie dei piccoli sono sintomo della difficoltà ad accettare lo stato di subordinazione, perchè la pressione è troppo forte. Come si arriva a questo punto?
Il livello di richieste sui bambini e ragazzi da parte dell’ambiente sta diventando sempre più intollerabile, e questo li spinge a difendersi come possono. Barare alle volte può diventare una salvezza, ma mettere un figlio in condizione di dover barare per mantenere il proprio equilibrio non è propriamente una buona prassi.

Il rapporto di forza del genitore nei confronti del figlio può raggiungere livelli patologici e portare l’individuo oppresso a sviluppare un forte senso di inadeguatezza che in casi estremi sfocia in atteggiamenti violenti contro se stessi e la società. Queste situazioni possono rappresentare un alibi per qualsiasi tipo di delitto?
La violenza familiare è un’emergenza grave, ma la violenza non si identifica necessariamente con atti espliciti. Essa può materializzarsi anche in certe sottili costrizioni che vengono inflitte ai soggetti senza che questi se ne possano difendere.
Posso garantirle che molte scelte di vita dei figli rappresentano la realizzazione della volontà di genitori arcigni e incapaci di rispettare le loro inclinazioni. In casi del genere, nella migliore delle ipotesi, maturano dei risentimenti che alla lunga portano alla frattura dei legami familiari, quando non a delle violenze di diverso grado.

Anche nell’ambiente lavorativo possono crearsi situazioni simili a quelle descritte per il legame familiare. La sopraffazione è un meccanismo che si innesca frequentemente nelle relazioni gerarchicamente subordinate. Come conciliare allora il ruolo dirigenziale con l’esigenza di motivare e rispettare i colleghi?
Anche la mia professione presenta pericoli del genere. Proprio recentemente ho dovuto riflettere con molto dispiacere su un caso all’interno del quale, in assoluta buona fede ma con un certa dose di sufficienza, avevo generato una ferita. Si è trattato per fortuna di un fatto di piccola entità, ma mi è servito per riflettere. Ecco, questo è il punto, non quanto sbagliamo, quello può accadere a ognuno di noi, ma se siamo capaci di mantenere viva la nostra capacità di riflettere e di imparare. La differenza tra un errore grave e un errore meno grave sta nella capacità, quando rivesti un ruolo gerarchicamente sovraordinato, di riconoscere l’errore e, possibilmente, non ripeterlo la prossima volta.

A cura di Albachiara Lunghi