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“Medici-clown” nelle zone di guerra

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Patch Adams va alla guerra. Non per distruggere, naturalmente, ma per aiutare a ricostruire: “ricostruire” psicologicamente le persone, soprattutto i bambini. Grazie al medico-clown reso famoso da un film interpretato da Robin Williams, la “riso-terapia” è arrivata anche in quei luoghi dove ridere sembra un affronto, dove il sorriso ha qualcosa di tragico e surreale. Patch è stato in Bosnia, Macedonia, Afghanistan, e anche in luoghi dove la guerra non c’è stata di recente, ma dove la storia è passata come un carrarmato altrettanto devastante, come in Russia. E, di certo, la prossima tappa sarà l’Iraq. “Se avesse potuto, Patch Adams sarebbe partito durante i bombardamenti” dice Gianluca Previato, in arte “dottor Bombo”, un clown italiano che, con l’inventore della clownterapia e con altri colleghi americani ed europei, è stato nei campi dei profughi albanesi sfuggiti alla guerra in Kosovo.

“Avevo conosciuto Patch Adams ‘a distanza’, per telefono e per corrispondenza, tempo prima”, racconta Gianluca. “Un giorno mi è arrivato un suo fax in cui mi chiedeva se me la sentissi di fare una pazzia: stava partendo per la Macedonia, nei campi profughi del Kosovo, per andare a portare un sorriso ai bambini”.
E così, è cominciata l’avventura. Un’avventura non facile, senza dubbio diversa da quella quotidiana degli ospedali, sotto diversi aspetti. A partire dal semplice aspetto comunicativo. Quando Gianluca si è trovato di fronte Patch, questi gli ha chiesto se sapesse parlare inglese, e lui gli ha risposto di no. Al che, Patch ha rilanciato: “Do you speak humor?”. E il gioco era fatto.

Il linguaggio dell’umorismo è universale, soprattutto tra i bambini, ma prima bisogna riuscire a instaurare il rapporto giusto, e questo è probabilmente l’aspetto più difficile in una situazione di estremo disagio e povertà.
“Ci spostavamo in pullman”, continua il suo racconto il dottor Bombo, “già truccati e già pronti per i nostri spettacoli. I bambini, preparati dalle educatrici dell’Unicef, sapevano che dovevamo arrivare. Ma bisogna stare attenti, un gesto può far crollare tutto, perché sono contesti in cui la tensione è altissima, soprattutto a causa di chi, mescolato tra la gente comune, cerca di strumentalizzare la situazione in senso politico, insegnando per esempio ai bambini canzoni pro o contro il regime. Bisognava anche tenere conto della cultura di ciascuno di loro: i profughi erano di religioni diverse, e bisognava fare attenzione a non offendere o urtare nessuno. E poi, c’erano anche altri elementi: i bambini erano eccitati dalla nostra presenza, e spesso per noi era molto difficile lavorare, perché d’un tratto in questi immensi campi sbucavano tremila, quattromila o cinquemila bambini che ci saltavano letteralmente addosso, e finiva che a molti spariva il materiale che avevano portato con sé. A volte non riuscivamo nemmeno a fare il nostro spettacolo. Però non era fondamentale: a loro bastava toccare il clown, sentire una trombetta, avere un palloncino”.

Un vero toccasana, per i bambini, ed è stato possibile verificarlo quasi subito: “In uno di questi campi abbiamo passato una parte del tempo nelle tende scuola dell’Unicef, dove i bambini avevano esposto i loro disegni con cui rielaboravano il vissuto della guerra. Già questo è stato per loro importante, una specie di scambio: prima noi abbiamo dato loro gioia, sorriso, colori, poi loro ci hanno ricambiati mostrandoci i loro disegni per farci capire il loro stato d’animo. Ma soprattutto, da quel momento sono cominciati ad apparire non solo disegni sulla guerra o sull’Uck, ma anche clown e palloncini colorati… Successivamente, attraverso gli psicologi del campo, abbiamo avuto la conferma che quest’incontro per i bambini è stato come una boccata d’aria fresca”.

Gianluca ha fatto anche altre esperienze come clown, senza Patch Adams ma con i Barabba’s Clown, un gruppo nato nel 1979 presso il Centro Salesiano S. Domenico Savio di Arese, casa di accoglienza per ragazzi e giovani in difficoltà. Nell’ambito del progetto “Un sorriso con i poveri”, che tra le altre cose ha attivato 700 adozioni a distanza, Gianluca è stato un mese in Ruanda, ad aiutare un missionario salesiano a ricostruire un villaggio per giovani distrutto nel genocidio. “Qui”, racconta, “abbiamo lavorato sia alla ricostruzione, rifacendo l’impianto elettrico o imbiancando, sia realizzando spettacoli per i ragazzi del villaggio e dei dintorni. La peculiarità in questo caso è che nessuno aveva mai visto un clown, e all’inizio i bambini erano anche un po’ impauriti. Ma alla fine sono rimasti affascinati come tutti i bambini del mondo”.

Giugno 2003 – A cura di Selene Verri