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Mieloma, nuovi scenari di cura

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Talidomide, un farmaco che quarant’anni fa fece discutere e fu drammaticamente noto in tutto il mondo. Largamente utilizzato, infatti, dalle donne in gravidanza per sconfiggere ansia e nausea nei primi mesi di gestazione, fu “incriminato” perché responsabile del dramma di migliaia di bambini nati senza braccia e senza gambe. Questo farmaco, però, è tornato recentemente sotto i riflettori per motivi del tutto diversi, cioè perché si è dimostrato efficace nel trattamento di alcune neoplasie come il mieloma, il secondo tumore ematologico più frequente, che colpisce 82.000 persone nell’Unione europea con circa 25.000 nuovi casi all’anno. È recente, infatti, la pubblicazione su Lancet che evidenzia come l’aggiunta di talidomide a basse dosi in associazione alla chemioterapia standard (melfalan e prednisone) in pazienti anziani affetti da mieloma multiplo, determina un netto miglioramento delle risposte cliniche, con riduzione del rischio di recidiva e miglioramento della sopravvivenza. Abbiamo approfondito l’argomento con il dott. Andrea Nozza, Aiuto Ematologo presso il Dipartimento di Scienze Onco-Ematologiche di Humanitas diretto dal dott. Armando Santoro, responsabile del Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia dell’Istituto Clinico Humanitas.

Dottor Nozza, innanzitutto come mai questo farmaco fu incriminato?
“La talidomide è stata commercializzata negli anni Cinquanta e ritirata nel 1962 per aver indotto serie malformazioni fetali definite ‘focomelia’ in circa 10.000 bambini in tutto il mondo. La focomelia è una malformazione per cui i bambini nascono senza braccia e senza gambe oppure con mani e piedi direttamente attaccati alle spalle e alle anche. Il 40 per cento di questi bambini morì entro il primo anno di vita mentre il numero degli aborti e dei bambini nati già morti è rimasto sconosciuto per decenni. Negli anni Novanta venne scoperto che il farmaco possiede un ‘effetto antiangiogenico’, capace cioè di inibire il normale sviluppo dei vasi sanguigni, interferendo con lo sviluppo del feto, specie se assunto durante le prime sette settimane della gravidanza. Successivamente il farmaco si è dimostrato efficace nella cura del mieloma multiplo e ancora oggi in Europa vengono distribuite 11 milioni di compresse di talidomide all’anno, di cui l’80% per trattare il mieloma. Certo la scoperta successiva dell’efficacia della talidomide non fa tornare indietro nel tempo e non allevia il dolore di molte famiglie, ma apre nuovi scenari di cura, soprattutto in campo oncologico”.

Quali sono le nuove opportunità di cura legate a questa molecola?
“Dopo la tragedia, il farmaco è stato in un certo senso ‘riabilitato’ perché utilizzato con risultati positivi per il trattamento di alcune forme dermatologiche della lebbra e negli anni Novanta è stato impiegato negli Stati Uniti per curare i malati di Aids. Si è, così, avviato il processo che ha condotto nel 1998 all’approvazione della molecola da parte dell’Fda-Food and drug administration (l’ente che si occupa dell’autorizzazione alla messa in commercio dei farmaci). La talidomide, infatti, si sta oggi rivelando utile nella cura di alcune malattie in cui altre molecole hanno fallito, ma, certamente, sotto il più attento controllo e con stretta sorveglianza.

Le nuove opportunità di cura sono, in particolare, legate al trattamento del mieloma multiplo, una neoplasia ematologica molto aggressiva che offre poche speranze di guarigione con i trattamenti chemioterapici standard. Sebbene i meccanismi d’azione della talidomide non siano ancora completamente chiariti, è noto che il farmaco agisce su due livelli principali: bloccando l’apporto di sangue alla neoplasia stessa (effetto antiangiogenetico) e incrementando la risposta immunitaria dell’organismo contro la neoplasia (effetto immunomodulante). Le cellule del mieloma, analogamente alle cellule sane, richiedono sostanze nutritive e ossigeno per la loro sopravvivenza e crescita e, inoltre, sono in grado si secernere autonomamente sostanze in grado di attivare la formazione di nuovi vasi sanguigni (neoangiogenesi), agevolando la crescita del tumore stesso. La talidomide sarebbe in grado inibire la neoangiogenesi. Secondariamente si ritiene che la talidomide, agendo direttamente sulle cellule del mieloma, ne impedisca la crescita e lo sviluppo, stimolando inoltre le cellule del sistema immunitario. Inizialmente il farmaco è stato impiegato negli anni Novanta dando ottimi risultati su persone ritenute incurabili. Attualmente sono numerosi gli studi che confermano l’efficacia della talidomide in pazienti refrattari o ricaduti dopo trattamenti precedenti. In letteratura vi sono recenti studi che ne evidenziano l’efficacia anche in pazienti alla diagnosi, cioè mai trattati con chemioterapia.

Si può, quindi, affermare come l’aggiunta della talidomide al consolidato schema di chemioterapia con melfalan e prednisone (MP) sia a tutt’oggi da considerarsi lo standard di trattamento per il paziente anziano, non suscettibile di trattamenti più intensivi come l’autotrapianto di cellule staminali. Non essendo un chemioterapico, inoltre, la talidomide non comporta l’insorgenza dei classici effetti collaterali dei trattamenti per i tumori (nausea, vomito, caduta dei capelli, stomatite) anche se ha degli effetti collaterali, in alcuni casi importanti, che non devono essere sottovalutati: sonnolenza, senso di barcollamento, stitichezza, riduzione del valore di globuli bianchi, eritema cutaneo e, a volte, l’insorgere di una neuropatia periferica con formicolio alle dita delle mani e dei piedi. Questi effetti si correlano con la dose del farmaco somministrato e molti di questi regrediscono o si attenuano con la prosecuzione del trattamento. Attualmente il nostro Istituto partecipa a due studi multicentrici del gruppo GIMEMA in pazienti con nuova diagnosi di mieloma multiplo (uno per pazienti con età maggiore di 65 anni, l’altro per pazienti giovani), che prevedono l’utilizzo di talidomide, in associazione a chemioterapia e a nuovi farmaci (Bortezomib). Inoltre, diversi studi ancora in corso stanno dimostrando che questa molecola può essere utile anche nel trattamento di alcuni tipi di tumori solidi come il melanoma, il tumore del cervello, della mammella, del rene, delle ovaie e della prostata. È, poi, efficace come antinfiammatorio nel trattamento dell’eritema nodoso leproso o per le ulcere legate all’Aids e nella malattia di rigetto verso l’ospite dopo trapianto (GvHD)”.

Il suo uso è autorizzato in Italia?
“Ad oggi l’impiego della talidomide è autorizzato dalle Agenzie regolatorie di alcuni Stati come Usa, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Turchia e Israele per il mieloma multiplo che non abbia altre opzioni di cura e per l’eritema nodoso leproso. In Italia il farmaco non è registrato, ma viene prescritto ad uso compassionevole/nominale secondo un ‘risk management program’, in attesa di una eventuale approvazione dell’EMEA. Quindi, al momento della prescrizione della talidomide, il medico deve informare accuratamente il paziente su tutti i possibili rischi connessi all’assunzione di talidomide, sottolineando soprattutto il rischio teratogeno (malformativo) della molecola, tenendo conto delle eventuali conseguenze civili e penali nel prescrivere un farmaco tuttora non registrato in Italia”.

A cura di Lucrezia Zaccaria