Prevenzione

Combattere l’obesità con una campagna stile anti-fumo?

Argomenti

I morti per obesità, anche infantile, sono in continua ascesa e le persone da considerarsi in obesità hanno raggiunto ormai percentuali preoccupanti: il 10% degli uomini e il 14% delle donne, per un totale di quasi mezzo miliardo di persone sparse un po’ tutto il mondo.

Questi numeri, rivela un articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire, hanno spinto due delle principali associazioni mondiali che si occupano di alimentazione e obesità – Consumer International e World Obesity Federation – a promuovere una strategia di disincentivazione al consumo di cibi poco sani molto simile a quella già utilizzata per spingere le persone a smettere di fumare.

Il piano, proposto in questi giorni all’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale della salute, prevede investimenti massicci per quanto riguarda l’educazione, anche scolastica, il divieto di fare pubblicità per i cibi non considerati virtuosi, tasse più alte per i produttori e, proprio come succede per la lotto contro il fumo, etichette choc, che sottolineino i danni provocati dall’obesità patologica.

Quali risultati potrà ottenere una strategia di lotta all’obesità di questo tipo? Ne parliamo con il dottor Giuseppe Maria Marinari, responsabile della sezione di Chirurgia Bariatrica e direttore del Centro Obesità di Humanitas Gavazzeni.

Dottor Marinari, l’obesità può essere combattuta con le stesse armi utilizzate per la lotta al fumo?

«Credo sia molto difficile, per vari motivi. Il primo e più importante è il fatto che il fumo ha una diversa valenza rispetto al cibo, perché riguarda solo una percentuale di abitanti della terra. Una percentuale che può essere considerata alta, certo, ma che non è niente rispetto al cibo, che riguarda tutti, nessuno escluso, gli abitanti del nostro pianeta. In secondo luogo bisogna tenere in considerazione anche un aspetto economico che non può essere sottovalutato: a smettere di fumare ci si guadagna, perché non si spendono più i soldi per comprare le sigarette, a mangiare solo cibi sani, invece, ci si perde, perché questi costano mediamente di più di quelli non sani».

Il messaggio crudo, fatto anche di immagini dure, può comunque essere in grado di disincentivare al consumo di cibo “spazzatura”?

«Io me lo auguro, anche se vedo alcune difficoltà. I dati mondiali sull’obesità sono in grande crescita perché questa patologia si sta diffondendo sempre più nei Paesi in via di sviluppo. I casi di obesità e sovrappeso sono infatti costanti in Europa e nel Nord America da alcuni anni, mentre sono in forte aumento nei Paesi asiatici e nel Sud America. Lì l’obesità è giunta da poco e presto arriverà anche in Africa. Prima in molti di quei posti l’emergenza era la fame – pensiamo all’India o al Bangladesh, per esempio – oggi, seppure esista ancora una percentuale di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, c’è una larga fetta di popolazione che ha un più facile accesso al cibo. I soldi a disposizione delle famiglie restano comunque sempre pochi e il cibo che può essere acquistato a basso prezzo, e che magari è anche più saporito, è quello meno sano. Come si può, mi chiedo, convincere chi prima moriva di fame che oggi non deve consumare il cibo che trova alla sua portata? Come è possibile convincere queste persone che devono cominciare a mangiare solo cibo sano, sapendo che non se lo possono permettere perché costa troppo?».

Forse allora questa campagna potrà contribuire a diminuire il tasso di obesità almeno nei Paesi sviluppati, dove comunque resta sempre alto…

«Sì, probabilmente qui da noi un certo effetto lo si può ottenere, anche se ritengo che la migliore strategia sia quella adottata da Michelle Obama, la moglie del presidente degli Stati Uniti che ha lanciato “Let’s Move”, la sua crociata contro l’alimentazione insana e dannosa. Per sostenerla sta andando nelle scuole e nelle televisioni degli USA a raccontare i danni causati dall’obesità, a descriverne le cause e a proporre le soluzioni per perdere peso e riacquistare salute. È importante lavorare soprattutto sulla testa dei più giovani, perché l’obesità infantile è un fenomeno che in Italia riguarda circa il 40% dei bambini/adolescenti. Sarà un grosso risultato se riusciremo a far sì che non diventino un 40% di adulti obesi, tra qualche anno. Dovremmo mettere in piedi qualcosa del genere anche noi, magari scegliendo i giusti testimonial, persone che con il loro carisma, proprio come sta facendo la first lady americana, riescano a sensibilizzare nel giusto modo produttori e consumatori alimentari».

 

Risposte del dottor Giuseppe Maria Marinari

responsabile della Chirurgia bariatrica e direttore del Centro Obesità di Humanitas Gavazzeni

 

a cura di Luca Palestra