È importante tenere sotto controllo la propria frequenza cardiaca. Una misurazione che può essere fatta da sé, anche se per avere la certezza del risultato è meglio ricorrere a un medico, come ci spiega il dottor Franco Santoro, responsabile degli Ambulatori di Cardiologia di Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
Spesso si parla di frequenza cardiaca, ma non sempre si hanno le idee chiare su che cosa sia esattamente e come possa essere tenuta sotto controllo. Molto spesso si tende a confondere la frequenza con la pressione. Sono invece due cose molto diverse fra loro.
Frequenza cardiaca e pressione, quali differenze?
«La frequenza cardiaca è il numero di battiti, quindi di pulsazioni, che il cuore compie ogni minuto. In sostanza, corrisponde alle volte che il cuore si contrae e, attraverso questa azione, manda in circolo il sangue. La pressione invece è quella che viene esercitata dal sangue, nel suo scorrere all’interno dei vasi, sulle pareti dei vasi stessi. Dal punto di vista della misurazione, questi due valori sono visualizzati entrambi dalle strumentazioni elettroniche che distinguono bene tra battiti e pressione».
Parliamo proprio di misurazione della frequenza. È possibile misurarla in casa, da sé?
«La frequenza può essere rilevata facilmente. Il metodo di misurazione più usato, in cardiologia, è attraverso l’elettrocardiogramma. Ma il paziente ha la possibilità di sentire le proprie pulsazioni anche da sé, in due modi: posizionando il pollice e l’indice della mano (destra o sinistra) ai lati del collo, subito sotto la mandibola, per sentire il cosiddetto “polso carotideo”; attraverso le pulsazioni presenti nel polso anche se questo secondo sistema non è così immediato dato che occorre sapere bene dove posizionare le dita e premere leggermente. Ma oggi sono a disposizione anche molti strumenti elettronici che possono servire alla misurazione della frequenza cardiaca. Oltre al misuratore elettronico della pressione di cui abbiamo già parlato, esiste anche il cardiofrequenzimetro, di semplice utilizzo. Poi il saturimetro, che misurano la saturazione dell’ossigeno nelle arterie e, insieme, segnalano anche la frequenza. Se la misurazione in sé è facile, occorre però sempre essere indirizzati bene da un medico specialista. Inoltre, in genere uno che fa attività fisica ha qualcuno – allenatore, istruttore, ecc. – che gli fornisce indicazioni su come misurare i propri battiti».
Cosa fare se non si seguono programmi di attività fisica con cui tenersi sotto controllo con costanza?
«La situazione qui è diversa, come lo è per le persone anziane, per le quali è più semplice una misurazione effettuata direttamente dal medico. Teniamo conto che l’ideale è comunque sempre rappresentato dalla visita cardiologica con elettrocardiogramma, che offre una valutazione molto più completa, di cui il numero dei battiti rappresenta solo una parte. In generale il fai da te deve servire per lo più per capire se si ha qualche problema o meno: in relazione alla frequenza è spesso il paziente che può avvertire una sensazione di mutazione del numero delle pulsazioni e decide così di andare dal medico, che poi valuterà se sia davvero così».
Quando un battito può essere definito di frequenza normale?
«Esiste un range di frequenza normale che coincide per lo più tra i 55/60 ai 72/76 battiti. Al di sopra di questi si parla di tachicardia, al di sotto si parla di bradicardia che non è necessariamente un discorso patologico, come dimostrano gli atleti, che tendono ad avere meno battiti del cuore per poter aumentare le loro performance. Nell’arco degli anni può esserci una tendenza all’aumento della frequenza, ma è un aspetto che rientra nelle previsioni del range di tranquillità previsto. Anche perché negli anziani a preoccupare non è il lieve aumentare della frequenza, ma il suo improvviso calare».
Chi ha frequenza alta ha deve preoccuparsi di eventuali danni al cuore?
«No, non è esatto. Ci sono persone che hanno frequenze “starate”, al di fuori del range, ma non per questo corrono rischi. Sono persone che dichiarano di avere avuto sempre questo battito ma di non avere mai avuto problemi, di essere state sempre bene. In questi casi non le si aggredisce con terapie, perché ognuno sa quello che vuole e può fare. A un paziente che tollera bene una situazione di questo tipo non resta che dare consigli dal punto di vista alimentare o sull’attività fisica, che deve essere contenuta. Senza dunque arrivare a una vera terapia tecnica che, come tutti gli interventi invasivi, alla lunga può comunque avere effetti collaterali indesiderati».