Che la diagnosi precoce contro il cancro alla prostata sia un’arma indiscutibile è vero. Che la stessa diagnosi, ottenuta grazie all’ormai famoso test del Psa, non abbia mai dimostrato una riduzione della mortalità dovuta alla malattia è altrettanto palese. Certezze e dubbi del medesimo test.
Il prof. Pierpaolo Graziotti, responsabile dell’Unità Operativa di Urologia in Humanitas ha le idee chiare: “Innanzitutto fintanto che non verrà dimostrata una significativa riduzione della mortalità, il dosaggio del PSA non potrà essere proposto come indagine di screening su vasta scala”.
Nei soggetti interessati ad essere studiati per avere una diagnosi precoce di questa diffusissima malattia, il test del Psa va utilizzato ma con buon senso spiegando al paziente che, non essendo l’esame specifico quanto un test di gravidanza, può esporlo a tutta una serie di successivi accertamenti anche invasivi, quali ripetute biopsie che possono turbare il suo equilibrio ingenerando un ingiustificato stato d’ansia. Vi è un altro problema, inoltre: “L’aggressività del cancro alla prostata non è la stessa del cancro al pancreas: talvolta ha le movenze di un gatto, talvolta quelle di una pantera. Quindi, se il paziente sottoposto al test del Psa e, sulla base del risultato ad una successiva biopsia prostatica, viene la formulata la diagnosi di neoplasia, non è detto la malattia abbia volume ed aggressività tale da essere comunque oggetto di una terapia. La decisione terapeutica andrà commisurata al comportamento biologico del tumore, all’età del paziente alle sue aspettative ed a quelli che egli ritiene i valori fondamentali per continuare a mantenere una buona qualità della vita.
In altri termini, l’obiettivo deve essere quello di evitare di sottoporre a procedure terapeutiche, non scevre da effetti collaterali, soggetti che, pur non trattati, morirebbero con il cancro e non di cancro”.
In questa ottica andrebbe evitata una diagnosi precoce nei soggetti al di sopra dei 70-75 anni che sono in qualche modo “protetti dalla anagrafe” e che per ovvi rischi di concomitanti patologie di altri apparati sono meno esposti ad avere una decurtazione della loro aspettativa di vita a causa di una neoplasia spesso indolente.
Se il Psa ha comunque una sua precisa collocazione, riconosciuta a livello internazionale nella diagnostica del carcinoma della prostata, purtroppo ancora ne è sprovvisto il Trimprob nuovo strumento diagnostico con il quale è possibile identificare la malattia in maniera del tutto non invasiva e rapida, ma privo della benché minima validazione scientifica.
“Prima di proporre ai mass media una novità tecnologica che spesso finisce per sconcertare pazienti e famigliari – continua Graziotti –, sarebbe opportuno che la sua attendibilità ed utilità venisse ampiamente discussa negli opportuni consessi ma ciò purtroppo spesso non avviene privilegiando pericolose scorciatoie”.
Per ora quindi, meglio affidarsi al buon senso, ad un buon medico e a una buona dose di moderazione.
A cura di Raffaele Sala