Ormai la troviamo tutto l’anno, ma la frutta secca rimane tipica dell’inverno e delle festività natalizie. Alimento energetico, digeribile e nutriente, fornisce un buon apporto di sali minerali come calcio, potassio, fosforo, magnesio, ferro.
Sia la frutta con il guscio che quella polposa come fichi, uva, pesche, disidratate in diversi modi, sono conosciute come “frutta secca”. Nella grande maggioranza dei casi le origini sono lontane e i vari tipi di frutta secca hanno costituito una risorsa a portata di mano, tra le più utili in natura per le necessità dell’uomo. Grazie alla lunga conservazione, anche se l’apporto vitaminico è modesto, veniva consumata in forti quantità dal poveri come alternativa e dai benestanti come supplemento di una cucina decisamente più ricca e grassa. Per esempio le noci e le nocciole fornivano olio vegetale nelle fredde zone del nord Italia, dove l’olivo non attecchisce e l’inventiva popolare ha dato vita a bevande alcoliche come l’orzata e il nocino.
Con le mandorle si prepara la famosa pasta per dare forma e gusto, tanto apprezzato anche all’estero, alla frutta di marzapane, tipica della produzione dolciaria siciliana dal chiaro influsso arabo; dalla Grecia al Libano si può gustare il baklavà, un dolce davvero squisito proprio a base di frutta secca, originario della Turchia.
Vediamo qualche tipo di frutta presente in grandi quantità sulle tavole nel periodo natalizio.
La mandorla, giunta dall’Oriente, è usata molto in pasticceria; può essere amara e dolce ma non tutti sanno che la varietà amara si vende al dettaglio solo miscelata con mandorle dolci e in confezioni chiuse all’origine “in misura non superiore al 5% riferito al peso”.
Anche la pianta di noce (nux) ha origine orientale e si diffonde con Greci e Romani; leggiamo che la noce “è il frutto secco del noce, prodotta dalla Juglans regia, deve essere considerata più come una drupa che non come una vera noce. Porta un gheriglio (seme) racchiuso entro due valve legnose (endocarpo) a loro volta circondate da un tessuto verde, carnoso, duro detto mallo (epicarpo). La parte più visibile dell’embrione è data dai due cotiledoni carnosi, dall’ottimo sapore, tanto più delicato quanto più è fresco, essendo ricco di olio di ottima qualità, ma che tende a irrancidire in breve tempo”. Molto si potrebbe dire di questo frutto, decisamente tra i preferiti, dal largo uso nella farmacopea popolare. Molti scelgono le noci della California, alcuni comprano le noci del Brasile; ricordiamo però che la varietà italiana più rinomata è quella sorrentina.
Le nocciole tostate e addolcite con il miele chi non le ha gustate? Il nocciolo era un pianta sacra, presente in leggende dal sapore antico e a Roma si donavano rami di nocciolo come augurio di felicità. Si lanciavano anche manciate di nocciole sugli sposi come segno di buon augurio che forse avrebbero preferito il riso, più leggero… Originario dell’Asia Minore, in Italia è coltivato nel Meridione ma punteggia con la sua chioma fiorita anche la campagna toscana. Albero spontaneo, del quale l’uomo si è servito dai tempi più remoti, è usato nell’industria alimentare che ne fa larghissimo uso (una volta rotto il guscio, la tostatura stacca la pellicola ricca di tannino), soprattutto nell’impiego di prelibate cioccolate e dei torroni.
Non c’è bambino o adulto che non abbia morso con gusto un pezzo di cioccolata alle nocciole e la qualità più rinomata è la Tonda Gentile delle Langhe, prima nocciola con marchio IGP, una produzione limitata di alta qualità.
Castagne e marroni. Piccole o grosse, a forma di cuore nelle confezioni dei marrons glacés, le castagne hanno avuto un ruolo fondamentale nell’alimentazione invernale e in tempo di ristrettezze. Ancora nell’ultima guerra mondiale per larghi strati di popolazione castagne e polenta sono state la salvezza dalla fame. Moltissime le soluzioni in cucina: creme e minestre, caldarroste o nei dolci (il biancomangiare), molto calorici anche se decisamente buoni e il rustico castagnaccio, seminato di pinoli. La castagna non è un alimento molto digeribile e per l’alto contenuto di amido non è adatta a chi ha problemi di digestione.
Chi da piccolo non ha rubato l’uvetta, lasciata ‘a mollo’ nel liquore prima di essere unita all’impasto di certi tipi di torte? Possiamo sceglierela tra pregiate qualità: uva di Corinto importata dal Medio Oriente, l’uva di Smirne, di Malaga, e la più comune “sultanina”. Se poi è ora di aperitivo non possono mancare i pistacchi; l’albero di modeste dimensioni è originario dell’Asia e i principali produttori sono Iran, Afghanistan e California, mentre quello nostrano molto rinomato è coltivato in Sicilia, a Bronte, produzione Dop dal 2004. Pistacchi e naturamente i fichi che, con il salame, sono un eccellente anche se calorico spuntino. Fonte di fibre, vitamine potassio e ferro, ne conosciamo centinaia di qualità, diverse per colore, dimensione e tempo di fioritura; il fico comune è originario della Siria e viene coltivato in tutto il Mediterraneo e nelle regioni calde dell’America e dell’Oceania.
L’anacardium occidentale è originario del Brasile; fu introdotto in India dai Portoghesi nel XVI secolo e oggi questo Paese ne è il maggiore produttore con l’Africa orientale.
Questa pianta ci regala due frutti: uno fresco, la “mela d’anacardio” e uno secco, la “mandorla d’anacardio”.
Il primo è considerato botanicamente un falso frutto, il secondo è il vero frutto che contiene un seme oleoso e commestibile. Gli usi sono molteplici: la pianta è usata per produrre un inchiostro indelebile, il succo con un potere antitermiti, alcool e, aceto e, previa pressione, si ricava un olio pregiato; si ottengono anche delle basi per le vernici e il succo, resinoso e caustico è usato in medicina.
La procedura complicata per ottenere il prodotto commestibile, l’alto impiego della mano d’opera e la minima quantità che rimane indenne (solo il 10% della produzione grezza) dà ragione del prezzo elevatissimo sul mercato europeo.
Non dimentichiamo il più piccolo tra la frutta secca, il pinolo (nome scientifico Pinus pinea), prodotto dell’aromatico pino domestico e prezioso più di quanto si creda. Occorrono infatti 30 kg di pigne per ottenere 1 kg di questo prodotto delicato, usato in cucina nella preparazione di dolci, insalate, ripieni e salse; non si può non citare il pesto genovese, del quale costituisce la base essenziale.
A cura di Cristina Borzacchini