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Scanavacca: ecco come è scoppiata la rugby-mania

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Andrea Sacanavacca, detto Pepe, 36 anni, ha indossato per la prima volta la maglia della Nazionale di rugby nel 1999 contro l’Uruguay. Mediano d’apertura, è anche il calciatore della squadra. E per trovare meglio la concentrazione, la domenica gioca a golf. Da sempre nel Rovigo, per un anno a Roma, quest’anno insegue lo scudetto nel Calvisano. Nella trattoria di famiglia, a Rovigo, da 50 anni il rugby è di casa per festeggiare il terzo tempo dopo gli incontri. Con lui abbiamo parlato della nuova passione per la palla ovale portata dalle vittorie al 6 Nazioni e di questo sport ancora poco conosciuto in Italia.

Come è stato per voi essere improvvisamente travolti dall’attenzione del pubblico italiano?
“Incredibile. Fino a 4-5 anni fa sarebbe stato impensabile. Da quando l’Italia ha fatto l’ingresso nel 6 Nazioni si è iniziato a parlare un po’ più di rugby, ma essere fermati per strada, vedere migliaia di appassionati riuniti in piazza del Popolo davanti al maxischermo e venire invitati in tv era solo un nostro sogno ed è diventato realtà”.

Durerà? Ci sono prossimi appuntamenti importanti per tenere viva la rugby-mania?
“La fortuna vuole che a settembre si giochino i Mondiali in Francia, importantissimi. E poi è evidente che in questo momento l’Italia ha bisogno non solo di calcio. La nostra fortuna è che le buone prestazioni del 6 Nazioni hanno coinciso con questa esigenza del pubblico sportivo. Sarebbe anche ora che gli italiani si entusiasmassero, seguissero e tifassero per ogni squadra che indossa la maglia azzurra, come succede negli altri Paesi. E il rugby ha dimostrato di poter essere bello ed entusiasmante anche in tv”.

Ha conquistato anche la tradizione del terzo tempo.
“Il terzo tempo dovrebbe esistere in ogni sport. È importante e bello trovarsi dopo l’incontro tutti insieme, parlare con l’avversario anche di altre cose. Uscire dal campo uno a destra e uno a sinistra, tenendo dentro ruggini e persino odi non è sportivo”.

Si iscriveranno più ragazzini? I genitori capiranno che non è uno sport pericoloso come può sembrare?
“Dicono che l’interesse sia già aumentato. La Federazione dovrebbe fare propaganda nelle scuole per far conoscere meglio questo sport. Comunque per la mia esperienza, ci sono molti genitori che, ancor prima di aver paura, non mandano i bambini a giocare a rugby perché temono i vestiti pieni di fango, e, invece, è proprio rotolarsi per terra che piace ai più piccoli. Nel preferire il calcio, poi, c’è spesso il sogno dei guadagni di chi diventa professionista”.

Invece, quali sono dei buoni motivi per iscrivere un figlio a rugby?
“È uno sport educativo e formativo, insegna a stare in gruppo, ci sono delle regole e dei riti come il saluto iniziale e l’applauso finale che servono a stabilire il rispetto per l’avversario. Il gioco in sè, se piace, per il bambino di 6-7 anni è il massimo: usi tutto il corpo, le mani, i piedi, giochi con la palla, corri e fai la lotta. Molto istintivo e completo, non violento. Il controllo sull’eventuale violenza compiuta da un giocatore di rugby in campo è severissimo, comporta segnalazione e sospensione per mesi”.

Ma come si può fare perché il rugby sconfini, diffondendosi un po’ in tutte le regioni italiane?
“In effetti al Sud, a parte Catania, il rugby è proprio inesistente. La Federazione dovrebbe per esempio programmare dei match importanti in regioni come la Puglia o la Calabria”.

Tu quando hai cominciato?
“In campo, a sei anni. Mio zio a quei tempi giocava in serie A. Ma al ristorante dove molto spesso venivano i giocatori per il terzo tempo, molto prima. Mi davano la palla e ho rotto anche molti bicchieri”.

Che sacrifici e impegni comporta?
“Ci alleniamo due volte al giorno per circa due ore e mezza, il lunedì, martedì e mercoledì. Giovedì riposo, venerdì solo pomeriggio e sabato partita. Domenica è la giornata di recupero, per ‘botte’ e stanchezza. C’è chi va in piscina, a me piace giocare a golf”.

Come, proprio a golf, così diverso come sport e come ambiente?
“È una mia grande passione. Sono 3 di handicap. Ho avuto un paio di anni di crisi, indeciso di fronte alla scelta del professionismo per uno dei due sport. Ha vinto il rugby perché è di gruppo ed ero troppo abituato a vivere la settimana insieme ai compagni e amici della squadra. Però continuo a giocare a golf, mi aiuta a trovare la concentrazione per i calci piazzati ed è un gioco che rilassa, nel verde, da praticare in tranquillità con gli amici”.

Il tuo stile di vita come è condizionato dalla pratica sportiva?
“Negli ultimi anni gli allenamenti sono diventati più duri e c’è molta più attenzione all’alimentazione. La dieta prevede più carboidrati a pranzo e più proteine per cena, con una buona colazione al mattino.
Il pasto pre-partita è fisso: primo piatto di carboidrati, poi prosciutto crudo o chi preferisce pollo, infine una crostatina. Il tutto tre ore e mezzo prima della partita, quindi verso le 10.30-11 del mattino”.

E le notti in discoteca sono vietate per i rugbisti?
“Non ci sono regole, ma ci ‘ritiriamo’ anche noi e ovviamente la sera prima dell’incontro non usciamo fino a tardi”.

Stai attento alla salute?
“Sì, penso che la salute sia la cosa più importante. Io sono molto attento, non bevo e non fumo, se non un bicchiere di vino o di birra. Ho avuto la fortuna, giocando, di capire che fumare e bere fa male, lo senti subito che il fisico non risponde come dovrebbe”.

Hai mai avuto infortuni seri? Come si superano?
“È uno sport di contatto, quindi le contusioni non mancano. Ho avuto degli infortuni, ma ho sempre recuperato bene. Il medico che ci segue è quello della società, ma io leggo molto di salute e alimentazione, cerco di documentarmi, mi piace capire e provare su me stesso quello che via via viene consigliato. Come la teoria di mangiare molto la sera prima per immagazzinare energie: per decidere, provo”.

Per giocare a rugby, serve un fisico particolare?
“Io sono alto solo 1,78 e c’è chi supera i 2 metri. Chi pesa 70 chili e chi raggiunge il quintale. Ognuno trova il ruolo adatto alle sue caratteristiche fisiche. Servono piuttosto passione, spirito di sacrificio, capacità di confrontarsi con l’avversario corpo a corpo e assoluta mancanza di pause in campo: non c’è neanche un secondo per pensare, che ne so, a cosa farai stasera, perché in un attimo il gioco ti arriva addosso”.

Ma il rugby è davvero così pulito?
“In questo momento metterei la mano sul fuoco: in quattordici anni non mi sono mai capitate avance di altre squadre né tentativi di manomettere le partite. Per quanto riguarda il problema del doping, a parte che ciascuno è artefice del suo destino, a livello di Federazione non ho mai visto consigliare da un medico sostanze per aumentare le prestazioni. Poi c’è sempre chi vuol fare il furbo, ma in questo modo automaticamente inganna prima di tutto se stesso e il proprio fisico”.

Leggendo la tua scheda si scopre che sei un uomo da record: qual è il tuo prossimo obiettivo?
“Mi mancano da segnare 29 punti per battere il record italiano di tutti i tempi detenuto da Stefano Bettarello negli anni ’70. Poi, naturalmente, c’è lo scudetto di quest’anno, con il Calvisano. In attesa dei Mondiali”.

A cura di Francesca Blasi