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La montagna a mani nude

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Si può vivere la montagna in molti modi: dalle semplici passeggiate, al trekking più faticoso, alle arrampicate più impegnative. Fino al free climbing, gesto estremo, che è divenuto moda (ma è stata solo una piccola parentesi), vero credo di vita per gli amanti delle cime e delle pareti di roccia. Durissimo da praticare, poiché un’ascesa a mani nude richiede una preparazione atletica non indifferente, angosciante per gli spettatori.

Se l’orienteering è un modo semplice per avvicinarsi alla natura, coglierne gli aspetti più belli e romantici (senza dover incorrere in alcun rischio), il free climbing è l’estremizzazione di uno sport. Perché di sport si tratta, da praticare in tutte le stagioni, meglio in primavera/estate. “Resta uno sport estremo anche se fatto in palestra – illustra il dottor Massimo Tanzi, specialista in Medicina dello Sport  –, perché bisogna avere delle doti non comuni e un fisico che permette certi gesti atletici; purtroppo, non tutti sono in grado di praticare il free climbing. In palestra, è ovvio, viene più semplice: è un luogo caldo ed asciutto, ci sono le condizioni climatiche ideali, ma non quelle reali; ci si può dedicare al gesto tecnico ed all’allenamento muscolare specifico”.
Quali sono i muscoli più coinvolti nel gesto atletico? “Sono i muscoli flessori delle dita, quelli del polso e dell’avambraccio. Chi pratica il free climbing non è un culturista, ma ha una muscolatura ben definita, proporzionata, non ipertrofica, perché deve essere in grado di sostenere il peso del corpo su un appoggio anche molto piccolo; talvolta devono sapersi reggere su una superficie di roccia di pochi millimetri: se è ad angolo retto non reca problemi particolari, ma spesso le pareti non hanno un angolo definito e quindi il free climber deve sorreggersi su piani inclinati – anche strapiombanti – e quindi deve essere in grado di far aderire il più possibile i polpastrelli alla parete”.
Ma oltre alla forza nelle mani, il free climber deve anche sviluppare una certa forza nelle gambe: “Sì, perché per avanzare nell’ascesa deve creare delle forze contrapposte con gli arti inferiori per spingersi verso l’alto”.
Dove ci si allena? “D’inverno in palestra, dove si può sviluppare un’ottima tecnica e dove si trova un clima ideale, oppure su pareti di roccia a bassa quota ben esposte al sole nelle giornate di bel tempo; d’estate è meglio farlo in parete. Purtroppo in palestra non si trovano le vere condizioni ambientali, ma si può affinare la tecnica. In realtà ci sono molte variabili che entrano in gioco: le condizioni meteorologiche, la parete stessa, magari le condizioni fisiche dell’atleta. Il vero free climber è quello che durante un’ascesa si sa destreggiare in mezzo a tutte queste variabili, è in grado di tutelarsi e di tutelare gli eventuali compagni di cordata”. Quali altre caratteristiche deve avere un free climber? “Deve saper gestire le forze ed il suo stato nutrizionale. Deve essere in grado di ‘ascoltare’ il proprio corpo, se risponde correttamente alle sollecitazioni oppure no. Sa che quando non può più avanzare in parete è bene rimanere concentrati per non sottovalutare la discesa, perché non sempre risulta facile tornare indietro. Deve quindi aver sviluppato una buona dose di autocontrollo: nelle situazioni più critiche non può permettersi di provare la sensazione di panico o paura, perché l’eventuale sudorazione potrebbe complicargli la scalata o il rientro alla sosta e/o alla base”. Possiamo considerarlo uno sport? “Certo: è uno sport con la ‘S’ maiuscola perché possiede tutte le componenti necessarie: preparazione atletica, capacità di sacrificio, la perfetta conoscenza di se stessi e della montagna, oltre al senso di responsabilità e serietà. E, naturalmente, sapersi integrare perfettamente con l’ambiente circostante”.
Infatti per i più grandi free climber, la montagna non si vede, si sente. Addirittura si vive.
Per tutti gli altri, occorrono parecchie attenzioni in più.

A cura di Raffaele Sala