Alimentazione

Riso, il tesoro d’Oriente

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L’anno internazionale del riso ha posto al centro dell’attenzione questo cereale dalla storia antica, alimento vitale per buona parte della popolazione mondiale, simbolo di vita e abbondanza. La sua forte valenza religiosa nella spiritualità orientale, le mille varietà e le infinite combinazioni in cucina lo rendono un prodotto versatile, alternativo e sempre da scoprire.

Le fonti dalle quali attingere informazioni sul riso, sono molte, difficile farne una scelta.
Il fascino del riso (può un alimento avere un suo fascino? Certamente sì!) inizia con il suo nome: in sanscrito suona “vrihi”, nelle lingue iraniche “brizi”, fino al greco “oriza” che i romani hanno fissato nel latino “oryza”. E con questo nome Linneo lo classificò.
L’imperatore Kangh Hi comprese 1600 anni prima di Cristo che per soddisfare i bisogni alimentari del popolo cinese, il consumatore per antonomasia dell’”oro bianco”, ci voleva una varietà di riso precoce nella maturazione e che fosse coltivabile a nord della Grande Muraglia, dove i primi freddi autunnali arrivano con notevole anticipo.
Nacque così, per necessità, la varieta’ Yu-mi, il riso imperiale, che divenne sinonimo di riso precoce, presente in tante leggende orientali. Centinaia sono le varietà, delle quali una cinquantina coltivate in Italia. Come sono classificate?
Senza entrare nel particolare in: comuni (con chicchi piccoli e tondi, per minestre e dolci;
semifini, adatti per minestre e risotti;
fini, ideali per per risotti e contorni;
superfini, con granelli grossi e allungati per insalate e risotti.

Sono molte le qualità diffuse sul mercato, soprattutto quelle orientali che attirano il compratore per la lro provenienza esotica. Per esempio, il Waxi, con un grano opaco utilizzato in pasticceria e in cucina come “legare” per i sughi. E poi il riso profumato dall’India, il Basmati rice, il Surinam dall’America del Sud dove fu introdotto nel XVIII secolo, il Patna dalla California con chicchi che rimangono “al dente” anche dopo la cottura.

Dove è nato il riso? E Quando?
La pianta del riso farebbe la sua comparsa nell’isola di Giava; i Greci – che forse lo conobbero attraverso Alessandro Magno – e i Romani sapevano della sua esistenza, considerandolo tuttavia una spezia, mentre nel mondo della Bibbia non si fa cenno a questo cereale.
Plinio il Vecchio, Teofrasto e Strabone nei loro scritti parlano del viaggio del riso dall’Oriente; in Italia fu – sempre per ipotesi – introdotto dagli Arabi o dai Veneziani, esperti negli scambi e abili nel cogliere la novità di una merce. Era coltivato nei possedimenti dei monaci che, proprio a Montecassino, lo avrebbero studiato e avrebbero fatto un’attenta selezione, dando il via al suo successo come alimento nutriente. Perché è ricco di carboidrati, soprattutto amido, non ha grassi e contiene una buona presenza di proteine e vitamine B1, B2 e PP. E’ energetico quanto la pasta, digeribile e raccomandabile in ogni tipo di dieta, soprattutto nella versione integrale o parboiled. Permette accostamenti a carni e pesce, verdure e frutta; insaporito da salse, come il piccante curry indiano lo troviamo anche ingrediente nelle torte salate.

Qualche dato?
La coltivazione del riso ha preso sempre più piede negli ultimi anni in modo evidente, passando secondo uno studio da 135 milioni di ettari a circa 148 milioni di estensione coltivata. Nello stesso arco di tempo i raccolti hanno avuto un incremento che è stimato oltre il 44%. Inoltre, secondo accurati rilevamenti, è migliorata la quantità di riso ottenuta per ettaro: da 24 a 32 quintali. Si calcola anche che ogni abitante del pianeta abbia a disposizione 60 chili di riso; ossia 10 in più rispetto a pochi anni fa. Questo è ritenuto un risultato discreto, ma non sufficiente alla lotta contro la fame che minaccia costantemente Africa, Asia e America Latina, dove il riso ha l’importanza che il pane riveste in Occidente.
Basta pensare che un giapponese consuma più o meno 80 chili di riso all’anno, mentre raramente un europeo supera i 5 chili. Il nostro Paese è il maggior produttore europeo di riso e non si pecca di campanilismo nell’affermare che il riso italiano è tra i migliori, sia per qualità che per tecnologie impiegate nella lavorazione. Il 90% della produzione nazionale di riso proviene dalla Lombardia e dal Piemonte, perché nella Pianura Padana sussistono le condizioni ambientali (per temperatura e grado d’umidità) favorevoli alla sua coltivazione.
L’estensione delle risaie è di circa 200 mila ettari dislocate nelle province di Vercelli, Pavia, Novara, Milano, Alessandria, Ferrara, Oristano, Mantova, Verona e in alcune zone limitate nel Centro e al Sud.
La produzione annuale supera gli 11 milioni di quintali, rappresentando lo 0,25 per cento di quella mondiale. Da ogni ettaro si ricavano circa 55-60 quintali, mentre nel secolo scorso non si superavano i 24 quintali.
Il mercato nazionale assorbe 4 milioni e mezzo di quintali, gli altri paesi della CEE 3 milioni e mezzo e i paesi non comunitari poco meno di 4 milioni di quintali. L’Italia è molto attiva nelle esportazioni e si inserisce con quantità apprezzabili della sua produzione negli scambi internazionali che per il riso sono modesti, rappresentando soltanto il 5% del raccolto mondiale. Il 95% della produzione globale è, infatti, impiegato per l’autoconsumo.
Non si spiega, nonostante la produzione di riso del nostro Paese sia riconosciuta tra le migliori del mondo, perché i consumi di riso degli italiani non superino i 6 kg l’anno per persona, quando potrebbero salire e contribuire con i quasi 30 kg di pasta, ad aumentare l’apporto di carboidrati alla nostra alimentazione.

A cura di Cristina Borzacchini