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Bambini

Bambini, lo sai che fargli studiare la musica li aiuta a parlare?

La musica, si sa, è la lingua universale. Non stupisce quindi apprendere ciò che i nuovi studi suggeriscono, ovvero che farla studiare già all’età di 4 o 5 anni potrebbero aiutare i bambini a riconoscere non solo i suoni musicali, ma anche quelli delle parole pronunciate. Un nuovo strumento contro la dislessia e i disturbi del linguaggio? I risultati dello studio applicato su un gruppo di bambini cinesi sono stati pubblicati sul “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Ne abbiamo parlato con il dottor Marco Nuara, pediatra di Humanitas.

 

Musica e linguaggio sono collegati?

Ad ipotizzare questo collegamento è uno studio guidato dal Massachusetts Institute of Technology (Mit), che mostra come proporre a bambini di 4 o 5 anni delle prime lezioni di pianoforte porterebbe vantaggi anche nell’elaborazione del linguaggio. Questi benefici, inoltre, sarebbero maggiori di quelli ottenuti con esercizi di lettura.

“L’apprendimento musicale utilizza gli stessi meccanismi dell’apprendimento del linguaggio e l’elaborazione del linguaggio musicale precede quello verbale – afferma il pediatra -. Infatti, prima di cominciare a parlare, il bambino inizia ad emettere dei suoni sotto forma di pianto, versetti, vocalizzi, lallazioni. Questi suoni rappresentano una prima forma di linguaggio che, come fossero parole, i genitori imparano gradualmente a riconoscere ed interpretare”.

“Pertanto con c’é da stupirsi che imparare a riconoscere i suoni sin da piccoli, grazie allo studio di uno strumento musicale, possa aiutare anche a distinguere le parole pronunciate a voce alta 
- chiarisce il dottor Nuara -, e successivamente contribuire a sviluppare l’abilità nella lettura e nella comprensione di un testo”.

 

I musicisti sono più bravi nella comprensione del testo

Che i musicisti fossero più bravi nella comprensione di un testo scritto, nel distinguere le parole in un ambiente rumoroso e nell’elaborare rapidamente il linguaggio verbale era cosa già nota. Chi distingue meglio le parole ha anche una migliore consapevolezza fonologica, ovvero riconosce meglio la struttura sonora delle parole: questa abilità è un elemento chiave per imparare a leggere.

“La Music Learning Theory di Edwin Gordon, Research Professor presso a South Carolina University sostiene l’importanza della musica quale linguaggio fondamentale per lo sviluppo emotivo del bambino – afferma il pediatra -. Ascoltare la musica fin da piccoli, anche nel grembo materno, non solo favorisce l’attitudine del bambino alla musica stessa, ma contribuisce anche al suo sviluppo cognitivo. La musica, infatti, aiuta il bambino a sviluppare proprie capacità di attenzione, ascolto e concentrazione, stimola la memoria e la creatività. Anche a livello emotivo e relazionale ascoltare e fare musica insieme, giocare con gli oggetti che producono suoni, con gli strumenti o con la propria voce può rappresentare un momento coinvolgente e divertente di interazione tra adulto e bambino e tra bambini”.

 

Lo studio

In collaborazione con i ricercatori dell’Università Normale di Pechino, gli studiosi del Mit hanno esaminato gli effetti delle lezioni di pianoforte in un gruppo di 75 bambini pechinesi di 4 e 5 anni. I partecipanti sono stati divisi in 3 gruppi: il primo riceveva 3 lezioni di pianoforte a settimana della durata di 45 minuti, il secondo gruppo partecipava ad un allenamento nella lettura e il terzo non seguiva alcun corso. Dopo un mese le abilità dei bambini nel riuscire a discriminare le parole, distinguendo le vocali, le consonanti e il tono (nel cinese mandarino si tratta infatti di una abilità molto importante) erano significativamente migliorate nei bambini che studiavano pianoforte, rispetto al gruppo che non aveva partecipato ad alcun programma.

Un’elettroencefalografia ha inoltre mostrato che i bambini che avevano preso lezioni di musica mostravano anche una risposta cerebrale superiore quando ascoltavano suoni con toni diversi. Questa maggiore attivazione suggerisce quindi che la musica aiuta principalmente nell’elaborazione del linguaggio.