Anche se è la neoplasia più frequente nelle donne, il tumore al seno può essere diagnosticato anche negli uomini: parliamo di carcinoma mammario maschile, che colpisce circa uno su 100.000 uomini, percentuale che rende questo tipo di tumore inusuale, ma non raro. Rappresenta lo 0.5-1 per cento di tutti i tumori della mammella (sono quindi circa 500 casi di tumore mammario maschile all’anno).
Ne parliamo con il dottor Andrea Sagona, chirurgo senologo di Humanitas Cancer Center.
L’incidenza del carcinoma mammario maschile
Il tumore al seno maschile si evidenzia soprattutto in età adulta, principalmente tra i 60-70 anni. Sebbene con un’incidenza inferiore, una diagnosi di tumore alla mammella però può avvenire anche al di sotto dei 45 anni (in questi casi principalmente legato a mutazioni genetiche). Diverse ricerche hanno dimostrato che il tumore al seno maschile origina principalmente dai dotti mammari, cioè da quella porzione della ghiandola deputata al trasporto del latte dai lobuli (zona di produzione del latte materno), al capezzolo da cui fuoriesce. Questi dotti, come pure la restante parte della ghiandola mammaria, sono presenti anche nell’uomo, pur se in forma rudimentale.
Tumore al seno maschile: i fattori di rischio
I fattori che possono predisporre all’insorgenza del carcinoma mammario maschile sono diversi; in particolare giocano un ruolo importante le condizioni di alterato metabolismo ormonale, con incremento della quota estrogenica (ormoni femminili), che si può verificare a causa di patologie del testicolo, cirrosi epatica, obesità, sovraesposizione a sostanze contenenti estrogeni o dall’attività estrogenica, ginecomastia secondaria a farmaci (come per esempio quelli per patologie prostatiche) o un pregresso trattamento radioterapico toracico, come avviene in corso di trattamento per linfomi, soprattutto in giovane età.
Caso particolare è quello dei pazienti affetti da Sindrome di Klinefelter, patologia causata dalla presenza di un cromosoma X in sovrannumero nel corredo cromosomico (XXY, invece del normale XY) che comporta una produzione eccessiva di estrogeni, con conseguente importante sviluppo della ghiandola mammaria che diventa così più suscettibile all’insorgenza del carcinoma mammario.
Il rischio aumenta anche in relazione alla familiarità. Spiega il dottor Sagona: «Spesso il tumore maschile è legato ad alterazioni genetiche nei geni BRCA1 e BRCA2, ai quali è correlato un aumento del rischio di insorgenza di tumore alla mammella, al pancreas, prostata e colon. Essendo una patologia piuttosto rara nel maschio, gli uomini che si ammalano di questa patologia devono essere sottoposti al test per individuare eventuali variazioni del corredo genetico, in modo da rendere disponibile questa importante informazione anche per i famigliari e permettere di eseguire programmi di prevenzione adeguati».
I sintomi del carcinoma mammario maschile
«Nell’uomo, come nella donna, possono essere avvertiti dei noduli (nella quasi totalità dei casi localizzati in sede retroareolare), oppure possono manifestarsi arrossamento, sanguinamento e ulcerazione del capezzolo. Spesso può esserci, già in fase iniziale, il coinvolgimento da parte della malattia dei linfonodi ascellari, dovuto alla sede retroareolare (dove è presente un importante plesso linfatico che facilita la disseminazione del tumore ai linfonodi) o perché la diagnosi viene posta in ritardo – non essendo gli uomini sottoposti a screening mammografico, come invece avviene per le donne -. Nel sesso maschile si manifestano di rado segni come la cute a buccia d’arancia», continua lo specialista.
Tuttavia, il minor volume del tessuto mammario maschile rende più semplice l’osservazione della presenza di un nodulo, anche se raramente da sintomi preoccupanti, quali il dolore in sede mammaria. Il percorso diagnostico è il medesimo rispetto al tumore al seno femminile, con l’esecuzione di esame clinico, la mammografia, l’ecografia e la biopsia».
Tumore al seno maschile: diagnosi e trattamento
«La prognosi è sovrapponibile a quella femminile, a parità di stadio, cosa che invece nel passato non era ritenuta tale».
Dopo gli esami diagnostici, e sulla scorta dell’esito della biopsia e degli esami di stadiazione quali ecografia addome, Rx torace, eventuali PET o TC e scintigrafia ossea, che permettono di capire quanto la malattia sia diffusa, lo specialista potrà scegliere il trattamento più adeguato.
«Data l’esiguità della quantità di ghiandola maschile, solitamente l’intervento prevede l’asportazione in toto della ghiandola mammaria (mastectomia), comprensiva del complesso areola-capezzolo, e asportazione del linfonodo sentinella e/o dei linfonodi ascellari se malati al momento della diagnosi. In casi selezionati, per garantire un intervento meno mutilante, sono stati descritti interventi di mastectomia nipple-sparing, cioè con conservazione dell’areola e del capezzolo, intervento, tra l’altro, personalmente effettuato in un caso di paziente affetto da S. di Klinefelter.
I tumori al seno maschili sono prevalentemente endocrino-responsivi (80-90%), ovvero formati da cellule dotate dei recettori per gli ormoni estrogeni e progesterone. Pertanto la terapia ormonale, che diminuisce la quota di estrogeni circolanti, rappresenta una valida opzione in associazione o meno alla chemioterapia», conclude il dottor Sagona.