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Ludopatia: quando il gioco è una dipendenza

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‘Smetto quando voglio’ è una delle frasi più ripetute dai giocatori d’azzardo. Ma è davvero così? Possiamo parlare di dipendenza da gioco, come da sostanze stupefacenti o nicotina? Ne parliamo con la Pamela Franchi, specialista in Psicologia presso Humanitas Mater Domini.

La ludopatia: una patologia da non sottovalutare

La ludopatia o gioco d’azzardo patologico è l’incapacità di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse, nonostante l’individuo sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze. Proprio come nella dipendenza da sostanze, il gioco diventa l’unica ragione di vita del giocatore. Infatti, chi è affetto da ludopatia può trascurare lo studio o il lavoro, assumere comportamenti criminali, come furti o frodi, o mettere in crisi le relazioni familiari con il rischio di estraniarsi dal mondo esterno.

Tutti i giocatori sono a rischio?

Il brivido della scommessa e l’idea di tentare la fortuna non sono assolutamente patologiche di per sé. Il problema nasce quando il gioco non è più un elemento ricreativo ma diventa l’unica attività possibile: è un’ossessione, il solo pensiero costante.
Possiamo fare alcune distinzioni in base al giocatore ed al ruolo attribuito alla fortuna ed alla competenza personale. Per esempio, chi scommette ai cavalli considera di avere caratteristiche di abilità e competenza. La fortuna non è implicata nella vincita. All’estremo opposto, i superstiziosi (giocatori del lotto, lotterie e gratta e vinci) sono guidati solamente dalla fortuna. I giocatori del vecchio totocalcio, infine, considerano la vincita un mix tra abilità personale e fortuna.

Fino a che punto ci si può spingere?

Secondo alcuni studi di psicoanalisi, nella personalità del giocatore esiste una dimensione masochistica che porta il desiderio di perdere. Il giocatore, infatti, aspetta con ansia il risultato della scommessa e gode della tensione che accompagna l’attesa. Forze inconsce lo attraggono verso questo piacevole supplizio, non tanto per vincere, bensì per il piacere o la sofferenza che deriva dal giocare.
Le conseguenze di questa dipendenza sono così gravi che i soggetti sono persone potenzialmente a rischio di suicidio.

Se sono un pericolo, come mai sempre più sale slot?

Il desiderio di far parte di una comunità è una necessità umana, che può essere soddisfatta dal consumismo. La brama verso un tenore di vita più alto crea una dipendenza che porta ad accumulare un debito sempre maggiore. L’incapacità di controllare e trattenere impulsi di godimento fa il resto.

I soldi giocati difficilmente sono percepiti come soldi reali derivati dal lavoro: nella testa del giocatore diventano fiches, gettoni d’oro o punti. Questo meccanismo allontana ancora di più il giocatore dalla percezione di andare incontro ad un reale danno economico, tenendolo ancorato ad un piano fantastico.

In che cosa consiste un percorso psicologico per un “soggetto ludopatico”?

La ludopatia si presenta come “autocura” della persona che in realtà presenta altre problematiche psicologiche, come depressione, disturbo borderline di personalità o disturbi d’ansia.
Pertanto il compito del professionista è in prima battuta quello di comprendere il quadro in cui si è scatenato il vizio del gioco.

Tramite colloquio è possibile ricostruire e riformulare con il paziente le emozioni che suscita il gioco, i pensieri connessi ed i sentimenti relativi a se stessi.

Tramite la narrazione di sé può essere possibile ricollocarsi all’ interno della propria storia e ricostruire un’immagine di sé maggiormente sintonica riuscendo ad abbandonare i pensieri e comportamenti ossessivo-compulsivi.

Può essere necessario un lavoro di equipe, dove il paziente possa avere un supporto farmacologico, un gruppo di sostegno ed un sostegno di tipo educativo ed occupazionale.