L’utilizzo delle protesi mammarie è ormai diffuso dovunque. È infatti dal lontano 1962, anno dei primi e pioneristici impianti eseguiti a Huston dai chirurghi texani Thomas Cronin e Frank Gerow, che questa tecnica chirurgica si va affermando. Dal suo “debutto” fino ai giorni nostri, sono milioni le donne che si sono sottoposte alla mastoplastica additiva al silicone ed è proprio di tale trend che parliamo con il dottor Simone Grappolini, Responsabile del Centro di Chirurgia Plastica (Estetica e Ricostruttiva) di Humanitas Mater Domini.
“Come tutte le protesi – chiarisce lo specialista – anche quelle mammarie non sono eterne, vanno incontro ad usura e rottura e debbono pertanto essere sostituite. Talvolta, il ricorso ad un secondo trattamento chirurgico è da imputare alle cicatrici post-operatorie intorno alla protesi, che indurendosi procurano fastidio e, in alcuni casi, inducono persino ad una deformazione o ad uno spostamento dell’impianto (detta anche capsula periprotesica)”. Si deve inoltre considerare l’invecchiamento della mammella aumentata che, con il passar del tempo, potrebbe non più adattarsi alla protesi mammaria, a seguito di gravidanze o di intensi dimagrimenti.
Quanto dura una protesi mammaria?
Una protesi mammaria dura mediamente 12/15 anni. Secondo una recente statistica statunitense, circa il 36% delle protesi al seno richiede un intervento correttivo dopo 10 anni dal primo impianto. Alcune indagini, inoltre, hanno documentato che il rischio che una protesi possa rompersi aumenti di circa il 2% ogni anno. Queste sono però cifre di massima, in quanto ogni caso è a sé stante e vede la concomitanza di svariati fattori.
Pur avvalendosi di esami strumentali sofisticati (es. la Risonanza Magnetica), non è sempre facile individuare le protesi mammarie rotte o integre.
“Laddove l’impianto risultasse realmente danneggiato – rassicura il dottor Grappolini – l’intervento correttivo non rivestirebbe carattere di urgenza: il gel di silicone, infatti, rimane confinato all’interno della capsula periprotesica. È comunque necessario che la paziente abbia una certa attenzione e cura ad evitare urti e colpi, così che il gel di silicone non rompa la capsula e non si diffonda nel tessuto mammario (in gergo parenchima mammaria)”.
Come agisce il chirurgo quando si deve cambiare una protesi mammaria?
Innanzitutto, sostituirà la protesi mammaria, rimuovendo la vecchia capsula periprotesica. Nel caso in cui la ghiandola mammaria si sia abbassata per gravità ed invecchiamento, il seno verrà eventualmente risollevato (mastopessi). Si eseguirà un rimodellamento con la ghiandola residua, questo implicherà però il sacrificare le dimensioni del seno stesso.
Se le condizioni della paziente lo consentono, l’impianto sarà rimosso e il volume reintegrato con un lipofilling.
“Si tratta di una procedura che si sta affermando, spesso proposta quale alternativa alla mastoplastica additiva con protesi: in realtà, ad oggi non dà risultati sicuri, in quanto il grasso impiantato ha un attecchimento molto variabile ed imprevedibile. Inoltre, l’eseguibilità dell’intervento dipende dalla quantità di tessuto adiposo che la paziente può fornire”, conclude lo specialista.