Sono sempre più numerosi i prodotti utilizzati per il trattamento di disturbi estetici e funzionali che non sono veri cosmetici perchè contengono principi attivi che si trovano anche in alcuni farmaci. Pertanto devono essere prescritti dallo specialista. Vengono chiamati dermocosmetici o cosmeceutici e sono molte le problematiche che si presentano al dermatologo : dagli ingredienti misteriosi, ai trabocchetti del marketing, alla interpretazione errata della fisiologia cutanea e alle iperboli. Di tutto questo si è parlato nel corso del 77° SIDEV di Palermo nella riunione del Gruppo di Dermocosmesi Medica (GIDECOM). I professionisti di Humanitas affrontano da vicino la questione.
Cosmeceutici, dermoceutici o dermocosmetici
Negli ultimi anni il dermatologo ha assistito a un cambiamento dei prodotti topici non farmaceutici presentati alla sua attenzione. Questi prodotti oggi sono lontani dal prodotto cosmetico anche se, per legislazione, ricadono in questa categoria. Da più parti sono giunte proposte per denominare tali prodotti cosmeceutici, dermoceutici o più semplicemente dermocosmetici. Si tratta infatti di una categoria merceologica prevalentemente di prescrizione dermatologica per il “trattamento” di problemi o disturbi di tipo estetico e funzionale.
Farmaco o cosmetico?
Il primo contrasto nasce dal fatto che tutti questi prodotti fanno parte della categoria cosmetici e per questo motivo si devono attenere alla legislazione del cosmetico. Questa, pur con un recente ampliamento, limita il cosmetico alle seguenti finalità: pulire, profumare, cambiare l’aspetto, correggere gli odori , proteggere e mantenere in buono stato la cute e le mucose. Ma molti dermocosmetici vanno ben oltre queste finalità, altrimenti sarebbero probabilmente poco utili al dermatologo. Pertanto si avverte la necessità di una terza categoria di prodotti topici posizionata a cavallo tra cosmetico e farmaco. Del resto basta osservare alcune nuove formulazioni di dermocosmetici per comprendere quanta distanza vi sia dal cosmetico reale e quanto il dermocosmetico imiti il farmaco. Un esempio chiarificante di questa situazione è l’utilizzo di un imidazolico in uno shampoo destinato a contrastare la Pityriasi capitis e l’utilizzo di un imidazol-derivato per lo stesso scopo. Nel primo caso si tratta di un farmaco, nel secondo di un cosmetico. L’uso di farmaciderivati nei cosmetici si va diffondendo e crea perplessità nel dermatologo. Infatti se il farmacoderivato ha le stesse proprietà del farmaco non si capisce perchè venga accettato nei prodotti cosmetici. Viceversa se il farmacoderivato ha perso l’attività del farmaco non si capisce perchè venga utilizzato e proposto.
Nomi di fantasia a scapito della chiarezza degli ingredienti
Gli ingredienti misteriosi sono quelli proposti dall’industria con nomi di fantasia e con proprietà definite da studi intra moenia. Il nome di fantasia ad un ingrediente è legislativamente accettato con la finalità di proteggere un segreto industriale purchè l’Autorità Sanitaria sia a conoscenza della formulazione e del dossier. Purtroppo i dermatologi e i loro pazienti sono le “vittime” di tale procedura. I primi non possono giudicare con obiettività sicurezza ed efficacia dell’ingrediente misterioso, i secondi acquisteranno un prodotto non filtrato dalle conoscenza ed esperienza del dermatologo.
Il linguaggio del marketing e le iperboli
I dermatologi, come del resto i consumatori, debbono porre attenzione anche ai trabocchetti del marketing. Questi sono affermazioni apparentemente corrette fatte per qualificare il prodotto ma che in realtà non hanno una valenza scientifica. Come ad esempio : “detergente senza sapone”, “prodotto senza conservanti”. Alcuni dermocosmetici si propongono al dermatologo pur avendo un’interpretazione errata della fisiologia cutanea. Ne sono esempio i prodotti a finalità proteggente cutanea che si definiscono sebosimili o quelli che pretendono di ripristinare il film idrolipidico. Una crema sebosimile sarebbe un disastro! Ne si può ripristinare un film che non esiste come quello idrolipidico. In fine sono sempre di moda le iperboli dei claims dei dermocometici, nate dalla fantasia del marketing e senza vergogna proposte al dermatologo. Frasi come “protegge il DNA, protegge le cellule di Langerhans” o ingredienti denominati “langerine o strutturine” sono leggibili ancora oggi nei foglietti illustrativi. Quello che è più disdicevole è la presentazione al dermatologo di informazioni apparentemente scientifiche riguardo al dermocosmetico o ai suoi ingredienti che, analizzate razionalmente, risultano del tutto infondate se non addirittura inventate.
I pazienti sono consumatori esigenti
Tutto questo mette in seria difficoltà il dermatologo che è posto, il più delle volte, nelle condizioni di non poter valutare la sicurezza ed efficacia del dermocosmetico che deve proporre al paziente. Attualmente il paziente, che è il consumatore del dermocosmetico, è molto più attento rispetto al passato alla composizione, all’efficacia, al rapporto costo/beneficio e sa trarne un giudizio personale che estenderà anche al prescrittore. Se il prodotto non funziona, lo specialista sarà depennato. D’altro canto anche il dermatologo più oculato si trova a disagio nel giudicare il valore di un dermocosmetico e per prima cosa è spaventato dalla complessità formulativa e dal numero degli ingredienti. Una cosa è certa: nessuno può conoscere la tossicità finale di un composto a 20 o 30 ingredienti. Si sente il bisogno di un radicale cambiamento, ma il dermatologo non ha armi di pressione se non una: non prescrivere quello che non gli è chiaro.
A cura di Lucia Giaculli