Passi avanti della ricerca sulle terapie geniche contro una rara forma ereditaria di cecità. Ma parlare di cure resta un azzardo. Ne ha parlato sul Corriere della Sera il professor Paolo Vinciguerra, direttore del Centro Oculistico dell’ospedale Humanitas e docente di Humanitas University. Al centro di uno studio della Oxford University (Regno Unito) la coroideremia, una patologia che porta progressivamente alla cecità intorno ai 50 anni.
La coroideremia, causata da un errore genetico, si caratterizza per la degenerazione della coroide, una membrana vascolare deputata alla nutrizione di retina, cristallino e vitreo. I ricercatori hanno valutato l’efficacia di una terapia genica che consiste nell’iniezione di milioni di copie sane del gene danneggiato per aiutare le cellule a rigenerarsi. Lo studio, pubblicato su New England Journal of Medicine, è stato condotto su 32 pazienti. S’è visto come il trattamento fosse in grado di fermare la progressione della malattia, di ravvivare alcune cellule morenti e migliorare la visione del paziente.
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Tuttavia il passo dal laboratorio alla pratica clinica è ancora molto lungo come spiega il professor Vinciguerra: «C’è una grande variabilità di risultati, seppur della massima rilevanza, che richiede ulteriori conferme: l’efficacia della terapia genica è dimostrata solo in alcuni soggetti, mentre in altri è stata poco efficace. Inoltre, in alcuni casi, l’efficacia non è durata per tutto il tempo dell’osservazione. Sarebbe sbagliato illudere chi non può vedere parlando di “nuova cura”».
Da staminali cure per malattie della cornea
Ma la ricerca va avanti: «Quello che dico ai miei pazienti è di non sentirsi condannati in eterno perché la scienza fa grandi progressi alternando stop a novità improvvise, come è stato il caso del bevacizumab (originariamente un farmaco antitumorale) per la cura della degenerazione maculare. Chi è cieco, anche se con diagnosi senza speranza, dovrebbe sottoporsi a controlli periodici, ogni 5-6 anni, anche per valutare le eventuali novità terapeutiche».
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I risultati della ricerca sono tangibili nei trattamenti di altre malattie dell’occhio, in particolare della cornea, dove si utilizzano cellule staminali. «È una terapia che utilizziamo all’Humanitas e che è un primato italiano. Si tratta di prendere una popolazione di cellule staminali della cornea, purificarla dalle cellule malate, e reimpiantarla nell’occhio. Essendo staminali provenienti dal paziente stesso non c’è bisogno di immunosoppressione e non si pongono nemmeno dilemmi etici, come quelli relativi all’uso di staminali embrionali», conclude lo specialista.
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