In caso di tumore alla prostata poco aggressivo si potrebbe vivere meglio con un monitoraggio continuo della problematica piuttosto che intervenendo con un trattamento mirato. La sorveglianza attiva garantirebbe infatti una migliore qualità di vita rispetto alla radioterapia o all’intervento chirurgico. A sostenerlo è uno studio presentato al congresso della European Association of Urology. Il suo primo autore è un ricercatore della Erasmus University di Rotterdam (Olanda).
La qualità di vita assicurata ai pazienti con un tumore alla prostata a basso rischio e sottoposti a sorveglianza attiva, dicono i ricercatori, sarebbe paragonabile a quella di uomini non colpiti da neoplasia.
Lo studio ha analizzato i dati di 427 pazienti fra 66 e 69 anni di età e seguiti da 5 a 10 anni dalla diagnosi. Di questi 121 hanno scelto la sorveglianza attiva, 74 invece sono andati incontro a prostatectomia, ovvero sono stati sottoposti a intervento chirurgico, e 232 hanno subito cicli di radioterapia. È stata confrontata la qualità di vita di questi pazienti tra di loro e con quella di 204 coetanei in salute.
(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, uno su due ne ignora i sintomi)
Dalle risposte di alcuni questionari è emerso che la funzione urinaria e il benessere sessuale dei pazienti seguiti con sorveglianza attiva erano migliori di quelle degli altri due sotto-gruppi di malati oncologici. Inoltre non si discostava molto da quella degli oltre 200 uomini sani.
Incontinenza urinaria e disfunzione erettile sono tra i principali possibili effetti collaterali dei trattamenti chirurgico e radioterapico per il tumore alla prostata. Effettivamente fra i pazienti trattati in questo modo gli episodi di incontinenza erano maggiori rispetto ai pazienti monitorati attivamente.
Meglio dunque la sorveglianza attiva dell’intervento in questi casi?
«Lo studio dimostra come alcuni pazienti con tumore prostatico che possiamo definire a basso rischio, possono vivere la loro condizione in una situazione di “normalità” con una qualità della vita confrontabile con quella di persone non colpite da tumore», dice il dottor Giovanni Lughezzani, urologo dell’ospedale Humanitas.
(Per approfondire leggi qui: Cancro alla prostata, con la diagnosi precoce si può guarire completamente)
Cosa significa fare sorveglianza attiva? «La sorveglianza attiva è un protocollo con il quale vengono seguiti dei pazienti con tumore alla prostata che presentano particolari criteri di inclusione. Fare sorveglianza attiva significa seguire costantemente il paziente sottoponendolo a controlli periodici come il test del PSA, un esame basato sul dosaggio dell’antigene prostatico specifico nel sangue, e la ripetizione delle biopsie prostatiche».
Anche la sorveglianza attiva può avere effetti collaterali?
«La sua applicazione potrebbe essere condizionata da una situazione di stress che il paziente deve affrontare. Tuttavia una persona ben informata riguardo la scarsa aggressività della propria problematica oncologica e sulla disponibilità di trattamenti in caso di eventuale evoluzione negativa del tumore prostatico, può convivere senza problemi con la sua malattia», conclude il dottor Lughezzani.