Featured

Strage di Parigi, perché si diventa kamikaze?

Argomenti

La strage di Parigi, che nella notte tra venerdì e sabato scorsi ha causato 129 vittime e oltre 350 feriti, rivendicata dall’Isis, è stata compiuta anche da alcuni terroristi kamikaze. Alla notizia di attacchi del genere con protagonisti degli attentatori suicidi, è facile chiedersi il motivo di un gesto simile: perché queste persone, spesso molto giovani, decidono di farsi saltare in aria per uccidere altre persone? Cosa li spinge? Il sito Scienza in Rete ha cercato di rispondere a questi quesiti con l’aiuto della letteratura scientifica.

(Per approfondire leggi qui: Strage di Parigi, francesi in coda per donare il sangue)

Il primo contributo che Scienza in Rete riporta è di un antropologo della University of Michigan e dell’equivalente francese del nostro Cnr a Parigi, Scott Atran. Un ruolo decisivo, richiamato dal ricercatore in un articolo su Nature, è sicuramente quello dell’ideologia. Un messaggio come “voi siete degli outsider e nessuno si occupa di noi” può condizionare inevitabilmente i futuri kamikaze.

Un misto tra ideologia e obbedienza: ecco perché si diventa kamikaze

L’ideologia lavora per creare delle comunità “chiuse con una forte impronta mistico-militare, dove tutti si sentano affratellati nella realizzazione di un progetto segreto e considerato di vitale importanza. Il sacrificio di ciascuno porta alla salvezza degli altri «fratelli» quando non della intera comunità”, si legge su Scienza in Rete. E in queste comunità conta anche la gerarchia e la “obbedienza all’autorità” in grado di far compiere delle scelte sia suicide che omicide.

Un secondo contributo richiamato da Scienza in Rete per indagare sulle possibili motivazioni dei kamikaze come quelli coinvolti nella strage di Parigi, è del filosofo cognitivista Dan Sperber, anche lui del Centro francese per la ricerca. Il filosofo ha cercato di comprendere i meccanismi cognitivi alla base di una scelta “antiutilitaristica come il suicidio a fini politici”. «Dal punto di vista dei leader delle organizzazioni terroristiche», scrive Sperber, «utilizzare terroristi suicidi è una scelta razionale»: con risorse limitate si riesce a ottenere “il massimo di effetto con il minimo di spesa. Economicamente, si va a colpire il nemico nel capitale umano più prezioso: la popolazione civile di un Paese ricco e industrializzato”, spiega Scienza in Rete.

Attentato suicida: scelta individualistica o per la comunità?

Sperber, a proposito dei kamikaze, dice: «La domanda che ci si dovrebbe porre è “Perché si rendono disponibili a commettere un’operazione suicida?” e “Perché, essendosi resi disponibili, vanno avanti piuttosto che cambiare idea?”». I vantaggi sono immediati: il rispetto della comunità e il titolo di eroe. «A ogni snodo decisionale successivo» continua Sperber, «la scelta è razionale, date le credenze e le preferenze dell’individuo. Il punto debole è la mancanza di lungimiranza al momento di offrirsi volontari». Tornare indietro è impossibile e sarebbe motivo di disonore. 

Scott Atran legge invece le motivazioni dei responsabili di un attentato non in chiave individualista bensì comunitaristica. «Istituzioni come l’Isis riescono a sfruttare il potenziale di sofferenza, oltraggio e umiliazione presenti nella società per costruire vere e proprie bombe umane», spiega Atran. «Come consumati pubblicitari, i leader carismatici di questi gruppi che sponsorizzano il martirio come arma politica, riescono a utilizzare i normali desideri per la famiglia e la religione per creare delle microcomunità coese al loro interno e pronte a esplodere in attentati verso l’esterno». Una vera e propria “manipolazione delle coscienze”, conclude Scienza in Rete.

(Nella foto due spettatori allo Stade de France, uno dei luoghi colpiti dagli attentatori. Foto: Christophe Ena. Fonte: internazionale.it)