Farmaci per evitare infarto, ictus e trombosi e rischio di emorragia: quale relazione? La parola ai professionisti di Humanitas.
Per curare o evitare un infarto servono farmaci che fluidificano il sangue quel tanto che basta a evitare un nuovo evento, non troppo perché non si verifichino emorragie: possono essere farmaci anticoagulanti (dicumarolici, come acenocumarolo e warfarin e nuovi anticoagulanti come apixaban, rivaroxaban e dabigatran da poco approvati dal Sistema Sanitario Nazionale), gli antiaggreganti come l’acido acetilsalicilico, il clopidogrel, la ticlopidina e molti altri.
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Sono tutti farmaci salvavita, molto efficaci se ben usati, molto pericolosi se usati in modo indisciplinato o da un paziente poco informato o poco sensibilizzato. I pazienti, ma spesso anche i medici, temono molto l’emorragia, molte volte in modo esagerato, a volte troppo poco. Non sempre il grado di fluidità del sangue può essere misurato, e questo provoca qualche incertezza nel paziente e a volte paure non sempre giustificate.
Una delle emorragie più temute è l’emorragia nascosta
Se ci si taglia, il controllo del sanguinamento è più semplice, se sanguina il naso il controllo è possibile applicando localmente una garza intrisa di un farmaco liquido che aiuta a fermare il sanguinamento. Ma quando il sanguinamento inizia nello stomaco o nell’intestino, il paziente potrebbe non accorgersene o accorgersene troppo tardi: per prevenire questa possibilità spesso paziente e medico concordano per l’assunzione a tempo indeterminato, in aggiunta ai farmaci antitrombotici, anche di inibitori di pompa (IPP o Prazoli).
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Sappiamo che questi farmaci sono protettivi, ma continueranno a svolgere la loro funzione di protezione anche quando il paziente avrà bisogno di assumere anche farmaci di uso comune come gli antidolorifici o gli antiinfiammatori (FANS) o il cortisone, che di per sé comportano un aumento del rischio di emorragia? O perderanno il loro effetto protettivo?
Alcuni farmaci possono ridurre il rischio di emorragie
Uno studio danese pubblicato in questi giorni sul British Medical Journal ha confermato che gli inibitori di pompa protonica (IPP o PPI) riducono le emorragie in pazienti che dopo l’infarto assumono farmaci antitrombotici e in aggiunta occasionalmente devono utilizzare farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS): la ricerca ha esaminato i dati raccolti in tutti gli ospedali danesi dal 1997 al 2011 e riguardanti oltre 82.955 pazienti di età maggiore di 30 anni, che avevano avuto almeno un infarto e stavano assumendo terapia antitrombotica singola o doppia. Fra questi almeno 42 su 100 assumevano anche FANS e 45 su 100 assumevano PPI. Nel corso di cinque anni si sono verificate 3.229 emorragie gastrointestinali, 8 su 100 mortali. Le emorragie in coloro che assumevano anche IPP era leggermente inferiore rispetto al gruppo che non ne assumeva (1.8 contro 2.1), a prescindere da quale IPP o da quale antitrombotico stessero assumendo.
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I FANS (diclofenac, nimesulide, ibuprofene, anti cox2, etc) quindi non devono necessariamente essere evitati in pazienti che ne abbiano bisogno e che contemporaneamente assumano farmaci antitrombotici, ma la prescrizione dovrebbe sempre accompagnarsi al suggerimento di utilizzare anche IPP: non per tutta la vita ma solo in occasione dell’uso di FANS.
(Fonte: British Medical Journal)