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Tumore alla prostata, un uomo su due ne ignora i sintomi

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Ci sono dei sintomi inequivocabili che possono far pensare alla presenza di un tumore alla prostata?É dunque plausibile il dato che emerge dall’indagine sul tumore alla prostata?Con che frequenza gli uomini devono farsi visitare da un urologo e a partire da quando?

Il tumore alla prostata è una forma di tumore non del tutto nota agli uomini. Poco meno della metà, il 47%, infatti ignora i sintomi della neoplasia in stadio avanzato. Una percentuale maggiore invece, che sfiora il 60%, non sempre associa il dolore di cui soffre al tumore alla prostata. I dati arrivano dall’International Prostate Cancer Symptoms Survey, un’estesa indagine internazionale commissionata dall’Internationa Prostate Cancer Coalition. I risultati sono stati presentati al Congresso europeo sul cancro di Vienna.

Il sondaggio è stato realizzato su 1200 persone tra pazienti con tumore avanzato della prostata e assistenti sanitari di 10 Paesi fra cui l’Italia. Oltre la metà del campione (57%) pensa inoltre che il dolore quotidiano sia qualcosa con cui convivere e uno su 3 (34%) afferma che parlare dei sintomi, come il dolore, lo fa sentire più debole. Una tendenza, questa, più marcata in Europa e Asia-Pacifico piuttosto che negli Stati Uniti (36% contro 12%).

Decisivo invece il ruolo dei caregiver, ovvero degli assistenti sanitari anche a domicilio che supportano i pazienti: la metà del campione conta proprio su di loro nel rivolgere le domande più importanti sul tumore della prostata. Per individuare i sintomi del tumore alla prostata c’è un utile strumento on line messo a punto da Bayer, che ha collaborato alla realizzazione dell’indagine. È Men Who Speak Up, una piattaforma on line che fornisce utili risorse, tra cui un “localizzatore” dei sintomi e una guida di discussione con il proprio medico.

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, lavorare su turni non aumenta il rischio)

Il tumore alla prostata è la forma di tumore più diagnosticata nel sesso maschile (20%) e la terza causa di mortalità fra le neoplasie (8%) (fonte dati: I numeri del cancro in Italia 2015).

Ci sono dei sintomi inequivocabili che possono far pensare alla presenza di un tumore alla prostata?

«Il tumore alla prostata è asintomatico, non ha sintomi specifici anche perché nasce da una porzione periferica di quest’organo. A differenza invece della ipertrofia prostatica benigna, un disturbo benigno caratterizzato dall’aumento di volume della prostata: i suoi sintomi sono ben chiari, dalle difficoltà nell’atto della minzione, all’incompleto svuotamento della vescica, all’aumentata frequenza dell’atto della minzione», spiega il dottor Massimo Lazzeri, urologo dell’ospedale Humanitas.

É dunque plausibile il dato che emerge dall’indagine sul tumore alla prostata?

«Il dato è plausibile e richiama tutti, medici e pazienti, a uno sforzo maggiore nel tentativo di invertire questa tendenza. Bisogna evitare che i pazienti si rivolgano agli specialisti con un tumore in fase avanzata».

Cosa si può fare? «Gli uomini devono prendere ancora più coscienza dei rischi a cui vanno incontro con l’età. Devono cambiare la loro attitudine prendendo esempio dalle donne, più attente alla prevenzione: il mio consiglio è di non temere di rivolgersi agli urologi, gli unici che possono valutare, consigliare e definire un eventuale programma di screening».

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, come fare screening e diagnosi precoce al meglio?)

Con che frequenza gli uomini devono farsi visitare da un urologo e a partire da quando?

«Già nella fase della pubertà è indicata una visita da uno specialista. Crescendo, almeno 2-3 visite urologiche prima dei 50-55 anni. Dopo i 55 anni l’uomo merita una particolare attenzione, soprattutto se si sono avuti in famiglia casi di carcinoma alla prostata», suggerisce il dottor Lazzeri.

(Per approfondire leggi qui: Tumore alla prostata, chi è calvo rischia di più)

«È importante che la diagnosi arrivi in tempo: una diagnosi di tumore alla prostata anche in stato avanzato, con metastasi, non equivale a una condanna a morte. Un approccio terapeutico multimodale per questa forma di tumore non solo dà ottime chance di sopravvivenza ma riesce a garantire ai pazienti una buona qualità di vita nella sopravvivenza», conclude lo specialista.