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Stefano Ottolini: pronti a partire

30/12/2004

Dopo il maremoto in Asia, la catena della solidarietà si è attivata in tutto il mondo, favorendo l’invio di beni di prima necessità e di farmaci. Sul posto stanno sopraggiungendo squadre di soccorso composte da personale volontario medico-sanitario, tecnico ed ingegneristico.
Come gestire il “dopo catastrofe”? Come evitare che l’arrivo dei soccorsi non generi ulteriore confusione, ma sia invece un reale aiuto alle popolazioni locali?
Ne parliamo con il dott. Stefano Ottolini, che lavora nell’Unità Operativa di Medicina d’Urgenza di Humanitas, impegnato per anni nel settore di Medicina delle catastrofi in Israele.

Quale è la sua esperienza in merito alla gestione delle grandi emergenze sanitarie?
“Ho cominciato ad occuparmi del tema durante il servizio di guardia medica sul territorio nell’ambito dei programmi formativi dell’area medica Asl Città di Milano. Il responsabile del servizio era un medico israeliano con una grande esperienza di medicina delle catastrofi e dei disastri in Israele. Sono stato dunque coinvolto in un programma di formazione con la Sanità israeliana, che ha previsto per cinque anni periodi di lavoro anche in quei territori. Da un lato seguivamo programmi di formazione sull’ATLS (Advanced Trauma Life Support), dall’altro studiavamo e osservavamo la realtà israeliana.
Mi sono occupato soprattutto di bioterrorismo e di medicina delle catastrofi. Per catastrofe e maxi-emergenza intendiamo un evento – naturale o non naturale che sia – che ha un numero di vittime superiore alle possibilità di trattamento sul posto, all’ospedale o sul territorio. Ciò implica l’avviamento di tutta una serie di meccanismi e di scelte diverse da quelle che solitamente si compiono nella calma della routine”.

Qual è di solito la procedura utilizzata da chi gestisce situazioni di crisi?
“E’ fondamentale non lasciare nulla all’improvvisazione, perché genera confusione, già abbastanza presente in una situazione di emergenza. La parola chiave è la pianificazione, non dopo ma il prima possibile.
Ci sono dei programmi che vengono periodicamente rivisti per eventi che non avvengono con regolarità e frequenza. Sulla base dello storico i modelli vengono aggiornati.
Niente deve essere lasciato all’improvvisazione. L’organizzazione deve vedere coinvolte tutta una serie di figure professionali, di cui i sanitari sono solo una minima parte. Pensiamo a chi fornisce acqua e viveri, oltre che l’assistenza medica diretta e i farmaci, al servizio d’ordine, ai vigili del fuoco, alla protezione civile. Tutto deve essere calato nella realtà locale. Un contesto metropolitano evoluto e avanzato è diverso da una zona in cui le possibilità di intervento sono estremamente limitate”.

Quali sono le peculiarità del maremoto in Asia rispetto ad altre emergenze?
“Prima di tutto i numeri molto alti, che rendono difficile qualsiasi tipo di intervento e che aumentano la confusione e il caos. Inoltre, l’area è particolarmente disagiata, sia per le caratteristiche oro-geografiche che per lo scarso livello di organizzazione dei servizi. Basti pensare che non esiste un’anagrafe, non ci sono dei servizi di supporto. E’ tutto da costruire.
Al momento, nonostante siano passati diversi giorni e al di là del battage mediatico, non abbiamo ancora un’idea precisa di come si siano svolti i fatti, di quante siano le persone coinvolte, di quali siano i reali bisogni – al di là di quelli immediati.
Questo implica uno sforzo organizzativo ed un impegno in termini di risorse e di forza di volontà superiore a quello richiesto in episodi analoghi, ma in contesti più evoluti. Più sono le parti coinvolte, più c’è il rischio che senza un coordinamento centrale, senza un’unificazione di intenti e di risorse si crei confusione”.

Quale è stata la sua reazione a questo evento?
“La nostra – mia e credo di tutti gli operatori qui del Pronto Soccorso di Humanitas – disponibilità a partecipare è massima e totale. Appena saputa la notizia dello tsunami, la domanda che mi hanno subito posto i colleghi ed infermieri del Pronto soccorso è stata: “Cosa possiamo fare per dare una mano?” Il desiderio di tutti è quello di esserci. E’ nel nostro DNA. Se andiamo là io ci sarò, assolutamente. Credo che la sensibilità e la disponibilità di Humanitas su questo evento siano davvero molto elevate. E la struttura sta lavorando per organizzare un team di esperti pronti a partire se sarà necessario”.

Di Laura Capardoni

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