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In Siria, a pochi chilometri dalla guerra civile

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Il racconto di Mirko Neri, infermiere di Humanitas, che ha partecipato a una missione di Medici Senza Frontiere in Siria, dove ha collaborato a prestare soccorso alle vittime di una delle guerre più violente e sanguinose degli ultimi anni

La guerra in Siria è una delle più violente e sanguinose avvenute nella zona mediterranea dopo la II Guerra Mondiale. Iniziata ormai 20 mesi fa, oltre 40mila morti totali e 100 morti al giorno, la pace non sembra nemmeno lontanamente vicina, e le previsioni sul dopo non sono delle migliori.

Sono appena rientrato da una missione umanitaria con Medici Senza Frontiere in Siria, dove abbiamo reso operativo un ospedale da campo situato nel nord del Paese, vicino al confine con la Turchia.

La situazione era veramente difficile e, nonostante le mie tante missioni e un team super esperto, ci siamo trovati di fronte a situazioni pericolose e molto complesse da affrontare e gestire.

L’ingresso nel Paese siriano è avvenuto tramite il confine turco. Siamo stati ospitati all’interno di un villaggio, che per ovvi motivi di sicurezza, non possiamo identificare.

La zona era sotto il controllo del Free Syrian Army, ossia i ribelli che si oppongono al regime di Assad.

Come ogni volta, MSF cerca di mantenere un’equidistanza tra le parti in conflitto, avendo come solo interesse la cura di persone ferite, che siano civili, militari governativi o ribelli. Ma all’interno di un contesto di guerra civile questo è sempre molto difficile, a volte abbiamo dovuto puntualizzare fermamente la nostra neutralità.

 

Un team esperto più tanti volontari locali

Il team era molto esperto, multidisciplinare e multinazionale: c’erano medici, chirurghi, anestesisti, infermieri, logisti, provenienti da Europa, Paesi Arabi e Africa. A tutto ciò si aggiungeva la parte forse più importante, rappresentata dal personale locale. Ragazzi e ragazze che, con svariate competenze, rendevano possibile l’esistenza dell’ospedale.

Molti erano rientrati dai campi profughi in Turchia per aiutare i propri connazionali. Alcune infermiere erano rimaste nella zona solo per aiutare, mentre se ne sarebbero potute scappare in Turchia, lontano dai pericoli. Toccante è la storia della capo sala, che aveva appena perso il fratello in combattimento qualche mese prima. Nonostante la contrarietà della famiglia era rimasta. Incredibile la dedizione con cui lavorava… ma ancora più impressionante era la cura e l’affetto che prestava ai militari siriani prigionieri, gli stessi che avevano causato la morte del giovane fratello.

 

Un ospedale nascosto in una grotta

L’ospedale era un puro ospedale da campo per chirurgia di guerra, allestito all’interno di una grotta per evitare i bombardamenti aerei e terrestri. La sala del pronto soccorso aveva sette posti letto, tutti ricavati all’interno della grotta, mentre il reparto post operatorio ne aveva altrettanti, sempre ottenuti, considerando le condizioni, alla meno peggio sfruttando ogni anfratto del luogo. La sala operatoria era collocata in fondo alla grotta, all’interno di una moderna tenda gonfiabile. Alla base di tutto ciò c’era stato in precedenza un ottimo lavoro logistico svolto da un team arrivato prima di noi, che aveva provveduto all’installazione di generatori per l’elettricità, di un sistema per l’approvvigionamento dell’acqua e di tutte le varie infrastrutture necessarie.

Il tutto era veramente molto semplice, essenziale, ma tale comunque da permettere l’esecuzione di complesse operazioni chirurgiche salvavita, grazie al team chirurgico di elevatissima esperienza.

 

A pochi chilometri dal fronte di guerra

Noi eravamo a pochi chilometri da uno dei tantissimi fronti del conflitto. Nel mio primo giorno di lavoro sono arrivati oltre 40 feriti per arma da fuoco che per un team ridottissimo è stata veramente un’impresa curare tutti. Dieci di questi avevano ferite gravissime al torace e all’addome, che hanno richiesto un immediato intervento chirurgico. E, ovviamente, essendoci solo una sala operatoria… l’attesa non è stata breve. Quelli con ferite alla testa, dopo la stabilizzazione sono stati trasferiti in Turchia, per mezzo di camion e macchine civili, con un trasporto di oltre un’ora su strade dissestate.

Per i pazienti con gravi emorragie che necessitavano trasfusioni, la raccolta del sangue veniva fatta al momento tramite parenti o accompagnatori.

Come si può ben capire le condizioni lavorative in questi luoghi sono veramente al limite, non serve solo un’elevata capacità tecnica, ma anche una flessibilità mentale che permetta di lavorare accettando alcune limitazioni.

 

Il soccorso ai soldati governativi fatti prigionieri

Solo dopo qualche giorno ne sono arrivati altri 30, ma questa volta erano soldati governativi fatti prigionieri… è lì che il volto terribile e tremendo della guerra si rivela veramente.

La tensione era tantissima, dopo pesanti scontri a fuoco, l’esaltazione e la voglia di vendetta era altissima, ma la nostra presenza ha di fatto permesso a chiunque – ribelle, militare o civile – di essere curato nello stesso modo. Come organizzazione neutrale, anche se ci trovavamo nel territorio controllato dai ribelli, abbiamo preteso il rispetto e il trattamento corretto, come vuole il Diritto internazionale, di tutti i prigionieri feriti. In tre casi, siamo persino riusciti a far trasferire tre prigionieri feriti in Turchia.

 

Difficile dimenticare quei volti

Tutte le sere, a parte il personale di turno, tornavamo nella nostra casa, in un paesino vicino, dove, nonostante la stanchezza, si cucinava qualcosa di veloce. Fortunatamente nel team c’erano due italiani! Si abitava tutti insieme, staff internazionale e locale, mentre, nel pieno rispetto della cultura islamica, il personale femminile di Medici Senza Frontiere dormiva in una casa adiacente.

Il nostro staff locale ha svolto un lavoro fantastico, ed è grazie a loro se noi riusciamo a operare veri e propri miracoli. Difficile dimenticare quei volti, quelle storie, bellissima gente che vorrebbe solo poter vivere in pace.

Rimane sempre il rammarico di centinaia di feriti, morti, migliaia di persone che vivono nel terrore dei bombardamenti… in cerca e in attesa di un futuro migliore e di pace vera.