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Il bon-ton in corsia

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Con che spirito si deve andare a far visita all’ospedale ad un parente o un amico? Quale comportamento è bene mantenere e a che cosa occorre assolutamente prestare attenzione? Domande con risposte apparentemente semplici, che rischiano sempre di essere inevase. Cosa dire al paziente? Cosa tacere? Come presentarsi, quando e per quanto tempo?

Ecco una prima spruzzata di suggerimenti. Ci viene da Emanuela Mencaglia, psicologa di Humanitas, e Maurizio Tommasini, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Generale e Epatologia. Suggerimenti, non regole ferree che possono sempre andare incontro ad eccezioni. Il punto di partenza è chiaro: una buona educazione.

Con che spirito presentarsi
“Non dobbiamo far visita ad un nostro caro – il primo suggerimento della dottoressa Mencaglia – solo perché è un dovere: lo svantaggio fisico ed emotivo rende il paziente più sensibile alle intenzioni degli altri. Se non andiamo con il desiderio di fare qualcosa di gradito, corriamo il rischio che il ricoverato si senta guardato con ‘pietà’ e quindi con uno sguardo che può sembrare di superiorità”.

Gradi di confidenza
“È necessario chiedersi quale grado di confidenza abbiamo con il paziente – aggiunge Maurizio Tommasini -. È diverso andare a trovare un parente o un collega. Nel primo caso è più probabile che il ricoverato superi l’imbarazzo di una visita giunta in un momento difficile o perché ha difficoltà nel parlare o, semplicemente, perché ha la testa in disordine”.

L’ambiente ospedaliero
“Teniamo sempre presente che in ospedale ci sono altri degenti – prosegue Tommasini – . Non importa con quali problemi, possono comunque sentirsi disturbati da situazioni per noi insignificanti. In fondo, tutti noi abbiamo differenti sensibilità, per questo, quando ci rapportiamo con un malato, l’attenzione deve essere centuplicata. Così, ad esempio, se il paziente non è costretto all’immobilità, meglio incontrarlo fuori dalla stanza, in rispetto soprattutto del vicino di letto. Se invece possiamo entrare in stanza, evitiamo di sederci sul letto: si rischiano infezioni sia per il paziente (veniamo dall’esterno e siamo portatori di agenti patogeni innocui per una persona sana, ma non per chi si trova in un momento di debolezza immunitaria), sia per il visitatore”.

Attenzione allo stress da visita
“ Le visite non devono diventare un ulteriore motivo di stress – sottolinea Maurizio Tommasini -. Teniamo conto che una persona provata da una malattia è in una posizione di inferiorità rispetto a chi sta bene. Quindi cerchiamo di evitare visite di massa oppure troppo impegnative e lunghe. Prestiamo attenzione al volume della voce, ad odori, profumi, abbigliamento, ma anche al rumore che facciamo con le scarpe o monili”.

Di che cosa si può parlare
“Possiamo parlare di qualunque cosa – riprende Emanuela Mencaglia -, tranne di ciò cui noi non siamo preparati. Il paziente è disposto a parlare di tutto, di sé, della malattia, della sua gravità e anche della sua eventuale morte. Spesso non si toccano questi argomenti perché ne siamo imbarazzati o ne abbiamo paura. In questo modo, però, ciò che per noi è tabù (parlare insieme al nostro caro delle sue condizioni di salute, specie se gravi), diventa un argomento intoccabile anche per l’ammalato. Il modo migliore è attendere che sia il paziente a parlarci della sua malattia, accettando la sua tristezza e preoccupazione senza far finta che tutto vada bene: questo è il solo modo di trasmettergli la nostra disponibilità ad affrontare l’argomento. E nel caso non voglia parlare della sua condizione può essere corretto rispettare il suo silenzio”.

Ma non c’è solo la malattia, esistono naturalmente anche molti altri argomenti di cui deve parlare con prudenza. Ma non è finita qui, le visite si “complicano” quando il nostro caro soffre a causa di una grave patologia o quando si tratta di pensare a un regalo oppure è un bambino che va a far visita a qualcuno in ospedale. Per tutto questo, però, occorre aspettare una settimana, il prossimo numero di Humanitas Salute.

A cura di Marco Renato Menga