Cure e farmaci

HIV, nuova vittoria terapeutica con un trapianto di staminali

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Il primo caso era accaduto a Berlino dodici anni fa. La settimana scorsa la vittoria sull’HIV si è compiuta a Londra, su un paziente sieropositivo e malato di tumore. Dopo un trapianto di staminali con una specifica mutazione genetica, l’uomo è risultato negativo ai test sierologici. Il successo terapeutico è avvenuto grazie ad alcuni ricercatori dell’Imperial College londinese, in collaborazione con colleghi delle Università di Cambridge e Oxford. Lo studio è stato presentato alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, a Seattle negli Stati Uniti, e sarà pubblicato sulla rivista Nature. Gli esperti però avvertono: non siamo davanti ad una cura contro l’HIV. Almeno non ancora, ma un altro piccolo e significativo passo avanti è stato fatto. Abbiamo commentato la notizia insieme al professor Domenico Mavilio, immunologo di Humanitas e docente presso l’Università degli Studi di Milano.

 

Il nuovo caso di Londra

Il virus dell’HIV è scomparso per la seconda volta in un uomo sieropositivo e malato di tumore curato a Londra, che ha potuto interrompere i trattamenti antiretrovirali senza che il virus si ripresentasse. Il primo caso di guarigione risale a 12 anni fa. Il merito va ad alcuni ricercatori dell’Imperial College londinese, in collaborazione con colleghi delle Università di Cambridge e Oxford. Lo studio è stato presentato alla Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, a Seattle negli Stati Uniti, e sarà pubblicato sulla rivista Nature.
Entrambi i pazienti protagonisti delle due vicende erano sieropositivi e malati di tumore e hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali da donatori compatibili e selezionati. Nel recente caso di Londra il virus, contratto nel 2003 e trattato dal 2012, è in remissione da 18 mesi, dopo la sospensione delle terapie anti-HIV. Gli autori sottolineano però che non si può ancora parlare di guarigione e che il monitoraggio del soggetto proseguirà.
Anche la chemioterapia è stata efficace contro l’HIV perché ha fermato la riproduzione delle cellule infette. Il trapianto potrebbe essere stata la chiave per evitare il ritorno del virus HIV dopo la fine della chemio, seppure nel paziente di Londra avesse comportato alcuni effetti collaterali, in particolare la cosiddetta “malattia del trapianto contro l’ospite”, in cui le cellule del sistema immunitario del donatore attaccano quelle del ricevente. Una complicanza che, tuttavia, potrebbe avere avuto in realtà un ruolo attivo (e positivo) contro le cellule infette.

La sfida in essere nei paesi del terzo mondo

Dai primi anni ‘80 ad oggi l’Aids ha fatto oltre 35 milioni di morti. Oggi ci sono ancora 37 milioni di malati di HIV al mondo. Per contrastare questa patologia, oggi ancora incurabile, la scienza ha a disposizione di terapie che sopprimono il virus, tenendo a bada la sintomatologia e ritardando molto il decorso del morbo. Una sfida che oggi si gioca ancora soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove l’urgenza di eliminare del tutto la malattia è più forte per via dell’alto numero di persone che ancora si ammalano e soprattutto perché solo il 59% di loro riceva la terapia antiretrovirale che scongiura lo sviluppo di AIDS, acronimo di “acquired immune deficiency syndrome”, sindrome da immunodeficienza acquisita.

 

Come funziona l’HIV

L’HIV ha la capacità di replicarsi sfruttando i globuli bianchi dell’organismo che ha colpito. Si stima che nel mondo le persone con HIV (human immunodeficiency virus, virus dell’immunodeficienza umana) siano 37 milioni, ma che solo il 59% di loro riceva la terapia antiretrovirale che scongiura lo sviluppo di AIDS o infezioni gravi. Ancora oggi ogni anno circa un milione di persone muore per cause correlate all’HIV.

 

La parola di Humanitas

Abbiamo chiesto al dottor Mavilio di rispondere ad alcune domande sul caso.

 

Dopo il paziente di Londra, possiamo dire che il paziente di Berlino non era un’anomalia?

“Possiamo certamente dire a questo punto che il “paziente di Londra” è una importante conferma e “replica”, almeno in parte il precedente caso di Berlino. Ovviamente, il tempo relativamente breve (circa 18 mesi) di osservazione di mancanza di replicazione virale (scomparsa totale di virus nel sangue – ndr) non consente di dichiarare curato il paziente londinese. Considerando inoltre che non sono state eseguite o presentate indagini sulla presenza del virus replicante o quiescente negli organi e tessuti, ma solo sul compartimento circolante. Quindi bisogna mantenere un atteggiamento prudente prima di considerare come “guarito” il paziente in questione. È anche importante dire che, nonostante le molte similitudini tra questi due casi clinici, ci sono anche differenze non trascurabili tra i due pazienti che potrebbero essere rilevanti nell’ottica di poter estendere questo approccio specificatamente altri casi selezionati di pazienti HIV-1 positivi in cui un trapianto di cellule staminali sia una scelta terapeutica eticamente sostenibile per contrastare una neoplasia ematologica opportunista. Infatti l’incidenza di neoplasie ematologiche come leucemie e linfomi sono maggiormente frequenti nei pazienti HIV-1 infetti rispetto agi individui sieronegativi”.

 

Quali sono le speranze di cura legate alla terapia genica? È una terapia che presenta rischi o che non può essere applicata su tutti i pazienti?

“In termini di principio, questo caso conferma che la terapia genica di fatto può ricreare una condizione esistente in natura e cioè la delezione omozigote nel gene CCR5 (CCR∆32). Questa mutazione, per quanto rara e diffusa più frequentemente in alcune etnie, è assolutamente compatibile con la vita e rende queste persone resistenti in modo quasi assoluto all’infezione, senza che si manifestino altri problemi clinici importanti e frequenti se non in casi eccezionali. Deve essere chiaro però che questo approccio non può rappresentare uno schema terapeutico applicabile a tutte le persone sieropositive, ma può essere considerato solo per coloro che devono andare incontro a un trapianto di midollo o di cellule staminali per contrastare una neoplasia resistente agli schemi tradizionali di terapia. Inoltre, essendo la mutazione spontanea di CCR5 un evento molto raro nella popolazione, sarebbe praticamente impossibile trovare donatori di cellule staminali per tutti i milioni di pazienti HIV-1 infetti che necessiterebbero di questa terapia genica. Il trapianto di midollo inoltre è una procedura invasiva, ha importanti effetti collaterali che influenzano pesantemente la qualità e la durata della vita dei pazienti trapiantati, richiede una lunga convalescenza, comporta diversi rischi clinici e un dispendio di grandi risorse economiche. Se tutti gli scienziati concordano sul fatto che non possa essere attuata su larga scala, al tempo stesso però vedono in questa conferma del “paziente di Londra” le basi per sviluppare nuove soluzioni tecnologiche che usino questo stesso meccanismo di cura senza procedere a un trapianto vero e proprio”.