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Dieta e sport possono prevenire il diabete

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Prevenire il diabete? Secondo nuove ricerche statunitensi dieta e sport sarebbe il binomio perfetto ed irrinunciabile per ritardare l’insorgenza di questa patologia che oggi in Italia colpisce circa 5 milioni di persone. A confermare quello che i medici cercano da tempo di comunicare ai propri pazienti, ovvero che l’attività fisica e l’alimentazione non sono un optional, ma un elemento fondamentale nella prevenzione, è uno studio che ha preso in esame ben 17mila persone. Parliamo dei risultati pubblicati su Diabetes Care con gli esperti dell’Unità Operativa di Endocrinologia e Diabetologia.

 

Perdita di peso e rischio diabete, quale legame?

I ricercatori della Emory University, negli Stati Uniti, hanno esaminato i dati di 17.272 partecipanti provenienti da 63 studi precedenti pubblicati tra il 1990 e il 2015. Questo ha permesso di verificare che coloro che avevano eseguito un intervento di modificazione dello stile di vita, in particolare dal punto di vista della dieta e dell’attività fisica, avevano un rischio inferiore al 29% di sviluppare diabete rispetto a quelli che non lo avevano fatto.
I tester inoltre avevano perso peso, dimagrendo in media di 1,5 chili. La meta-analisi fatta dai ricercatori ha quindi preso in esame il ruolo svolto dalla perdita di peso nel ridurre il rischio di diabete, scoprendo che a ogni chilo perso era associato il 43% di probabilità in meno di svilupparlo. Ciò suggerisce che anche una piccola perdita di peso dell’1% rispetto al peso iniziale può avere un impatto considerevole sulla riduzione del rischio.
Secondo gli esperti inoltre studi come quello effettuato dalla Emory University possono essere affidabili per l’ampia casistica esaminata e indicano come i medici dovrebbero impegnarsi maggiormente nella promozione dell’attività fisica come strumento di prevenzione e di terapia del diabete.

 

L’attività sportiva potrebbe diventare prescrivibile?

Oggi un medico di medicina generale o uno specialista possono prescrivere farmaci e diete specifiche, e con buona probabilità, aspettarsi che il paziente si attenga al nuovo regime alimentare e assuma i farmaci. Viceversa, l’attività fisica può essere solo consigliata perché ad oggi non ci sono strutture che la offrono in convenzione.

Quali sono altri possibili fattori di rischio del diabete?

La conseguenza, come è possibile riscontrare ogni giorno nella pratica clinica, è che l’attività fisica la fa solo chi può permettersela sia economicamente che in termini di tempo libero da dedicare. Spesso però è proprio chi non può permetterselo che ne ha più bisogno, perché presenta anche altri fattori di rischio collegati al diabete, come un basso livello di istruzione e propensione a consumare cibi molto calorici e poco costosi. Da qui proviene l’appello della società italiana di scientifica al Ministero della Salute a ragionare insieme su come affrontare questo problema.

 

Il parere di Humanitas

Si tratta di un ottimo studio pubblicato sulla rivista forse più importante del nostro campo specifico. Ben condotto e con una numerosità di soggetti importante, porta ulteriore conferma a quanto già conoscevamo e quanto già enfatizziamo ad ogni nostro incontro, sia tra colleghi che durante le visite con i pazienti. L’attività fisica agisce a tutti i livelli, nel soggetto sano per mantenere lo stato di benessere, nel pre diabete o nella sindrome metabolica o nella epatosteatosi (NAFLD o NASH) riducendo il rischio di sviluppare ulteriore peggioramento della patologia metabolica e nel diabetico riducendo il rischio cardiovascolare. Nel diabete rimane in tutte le linee guida il cardine ed il primo passo della terapia alla quale associare farmaci

 

Dati e ricerche italiane sul tema

“La società italiana di diabetologia (SID) ha nel suo organigramma un gruppo di studi apposito a riguardo e numerosi studi sono stati condotti e portano tutti nella stessa direzione: l’attività fisica aerobica fa bene – ha precisato il medico -. L’idea di prescrivere l’attività fisica in convenzione? Ottima. Bisogna però incominciare nelle scuole (molto di più di quella che viene praticata ora) e offrire la possibilità nei posti di lavoro. La vera rivoluzione sarebbe quella di renderla obbligatoria come la cintura di sicurezza alla guida… almeno venti minuti al giorno”.