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Andrea Pinketts: anch’io ho il mio medico in famiglia

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A dispetto del cognome di origine irlandese, Andrea Pinketts è nato a Milano, dove peraltro prendono vita i personaggi dei suoi libri. E’ uno degli autori contemporanei più amati del giallo-noir e il suo stile pungente e sarcastico ha tinte decisamete pulp. Nel 1995 ha ricevuto il prestigioso “Premio Scerbanenco”, ha fatto il modello, ha insegnato arti marziali, ha fatto il giornalista e come scrittore è già al suo decimo romanzo.

Il medico è un uomo che prima di tutto dovrebbe interessarsi alle persone. E’ così?
Sono figlio di un medico: mia madre è geriatra. Ma si sono invertiti i ruoli: invece di essere io ad occuparmi di lei, per ovvie ragione d’età, è lei che si occupa di me. Mi cura in modo oserei dire ossessivo: qualsiasi cosa abbia, al primo segnale, sono già sotto il suo strettissimo controllo.

Si direbbe che ha molta familiarità con la medicina.
Un rapporto strettissimo. Qualsiasi mio sintomo si verifichi lei madre corre inevitabilmente ai ripari. Sono sempre sotto controllo, anche se per me è sempre un fastidio in ogni momento subire una visita. Dal punto di vista farmacologico mia madre ha un appeal alla Mary Poppins ha una pillola “che ti tira su” per ogni occasione. Riconosce a colpo d’occhio ogni minimo sintomo dovuto al mio eccesso. Io ancor prima di Lino Banfi avevo “Un medico in famiglia”.

Medicina e letteratura, quali sono i casi clinici più affascinanti della sua biblioteca?
Mi viene in mente facilmente Il dottor Jeckill e mister Hyde per le sperimentazioni su se stesso, ma poi in realtà è inevitabile pensare anche a La cittadella di Cronin dove un medico apparentemente cinico, il dottor Manson, alla fine si ravvede. Inoltre nella mia libreria ci sono i medici dei romanzi di Robert Cook. Cook è una sorta di John Grisham del “medical trillher”, è lui l’inventore che con Coma profondo ha dato il via al filone e proprio dal libro è stato tratto l’omonimo film del 1978 con Michael Douglas nel ruolo di un medico onesto che si scontra con i mercanti di organi.

Lo scrittore è spesso bohemienne, è possibile fare vita d’artista senza farsi del male?
Forse è possibile ma io ne conosco veramente pochissimi. Conosco John Lansdale, autore americano di gialli che è un salutista per eccellenza: assolutamente astemio, un atleta. Ha brevettato una tecnica particolare di arti marziali e non corrisponde per certi versi alla figura dello scrittore maledetto. Noi siamo sostanzialmente dei creatori di mostri con la differenza che i nostri sono mostri letterari se vuoi metaforici mentre un vero medico, per esempio il professor Veronesi, è abituato ad affrontare altri mostri della vita reale come i tumori.

La medicina è al centro del plot di molti gialli, la considera un’arma del mestiere?
Inevitabilmente sì. A parte il medical thriller, penso anche a romanzi che hanno a che fare con la sanità senza essere dei gialli. Ad esempio, Il medico della mutua, il libro di Giuseppe D’Agata da cui è stato tratto il famoso film con Alberto Sordi, che denuncia non solo la speculazione sui mutuati a cavallo degli anni Settanta, ma anche il degrado morale di una società intera. Ma per scrivere thriller ci vuole una documentazione molto tecnica. Così, per giustificare la resurrezione in obitorio del mio protagonista e non incappare in strafalcioni, mi sono fatto assistere dal Prof.Canavese dell’Università di Genova.

Considera il salutismo di moda l’antitesi a una vita avventurosa letteraria o romanzesca?
La vedo come una contraddizione di termini. Sono altrettanto convinto che, se per vita avventurosa s’intenda fare raftinig o il sub, sia necessario essere sotto stretto controllo medico. Però gli avventurieri raramente lo sono stati, nella storia della letteratura come nella vita. Hanno fatto quasi tutti una pessima fine e sono morti relativamente giovani.

Qual è l’ultima medicina che ha preso?
Stanotte: non riuscivo a dormire e avevo bisogno di tranquillizzarmi. Sono andato a letto presto, eppure l’idea di tutto quello che dovevo fare oggi mi ha reso nervoso. Ma è un caso limite, non credo nell’abuso di tranquillanti o sonniferi o prodotti analoghi.

Ci racconti il suo ultimo libro?
Per esigenze letterarie in questo libro ho fatto resuscitare il protagonista perché precedentemente l’avevo fatto morire. Per ironia della sorte si chiama proprio Lazzaro. E’ un noir avvincente, dove ne succedono di tutti i colori, e il possibile errore e la capacità di resistenza dell’uomo alle regole sono il fulcro del romanzo.

A cura di Alessandra Capato