Sempre più spesso si sente dire che, per le persone anziane, aver vicino un animale è terapeutico. Non solo infatti combatte depressione e stati d’ansia, ma è anche un modo per far fronte a disturbi fisici. Che cosa ne pensa?
Risponde la dottoressa Emanuela Mencaglia
L’argomento è tuttora controverso. Negli ultimi venti anni si sono avvicendati studi che spingevano all’utilizzo della pet therapy ad altri con contenuti più “tiepidi” rispetto a questo argomento.
Nei primi, cani, gatti, pesci rossi e cavie sono stati eletti come i migliori amici, oltre che dell’uomo, anche della sua salute psicofisica, perché capaci di rilassare i loro padroni e quindi migliorare quei parametri fisiologici come la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, sensibili al rilassamento. Gli studi che si contrappongono a questi, invece, notano la difficoltà metodologica – campioni studiati tropo esigui e impossibilità di randomizzazione degli studi – nello sviluppare queste ricerche. E contestano quindi la povertà ‘scientifica’ dei dati raccolti.
Rimane la sensazione che si tragga comunque un beneficio dall’interazione tra uomo e piccoli animali, e che questa di conseguenza svolga un compito benefico sulla salute. Gli animali sembrano migliorare le interazioni sociali e promuovere il buon umore in particolari categorie di persone, ad esempio nei bambini, negli anziani e in persone affette da disabilità: la solitudine viene superata e così il morale migliora.
I miglioramenti psicologici notati in persone che interagivano con gli animali potrebbero portare alla conclusione che la sola presenza di questi ultimi possa contribuire ad aumentare il rilassamento tra i loro padroni, ma una correlazione positiva tra compagnia dei cuccioli e miglioramento della depressione è ancora lontana dell’essere riscontrata.
E’ più corretto affermare che le persone che interagiscono con dei cuccioli – e tra questi più di altri alcuni appartenenti a definite categorie – potrebbero beneficiare di un miglioramento nella salute fisica, psicologica e sociale. E questo potrebbe essere lo spunto per promuovere un nuovo concetto olistico di cura.